Tre donne luminose -nonostante la pioggia battente- alla MFW A/I 2018-19
È stata la giornata peggiore, dal punto di vista meteorologico, quella in cui si sono concentrate più sfilate e più presentazioni durante l’appena trascorsa MFW per la prossima stagione A/I 2018-19.
Corse inenarrabili tra un luogo e l’altro, slalom iperbolici tra una pozzanghera subdola e un marciapiede scivoloso, equilibrismi tragicomici tra un ombrello rovesciato dal vento e una messa in piega andata “a Patrasso”.
Ma, come quasi sempre, ripagate dalla vista di collezioni create con amore e maestria per farci desiderare “quel che verrà”.
Un tris d’eccellenza in tre location d’eccellenza….quel che ha lasciato segni particolarmente apprezzabili e degni di nota.
È già quasi una passerella il tratto di strada all’aperto che, dai cancelli d’ingresso alla soglia vera e propria, conduce verso la napoleonica Palazzina Appiani -nata come tribuna d’onore per la famiglia di Napoleone durante le proprie apparizioni pubbliche in una milanese “Novella Parigi”-, posta all’interno del Parco Sempione e all’ombra dell’Arena Civica.
È qui, in questo luogo magico neoclassico protetto dal FAI dal 2015 e testimone dei fasti di un tempo passato, che Luisa Beccaria sceglie di offrire in mattinata, tra superbi mosaici e fregi dipinti, la sua donna per la prossima stagione invernale.
Si rende immediatamente evidente un insieme calibrato pur composto da pezzi all’apparenza distanti tra loro.
Tante uscite, tanti passi (calzati dalle magnifiche scarpe di Racine Carrée), tante fogge, tanti ricami, tante stampe……ma un unico riconoscibile e armonioso stile.
L’omaggio palese a certe fanciulle di Lewis Carrol negli ampi cappelli, nei fiocchi delle aeree bluse, nelle forme degli onirici stivaletti ton-sur-ton; il rimando spiccato all’estetica di certi ritratti di Giovanni Boldini -a breve al GAM di Milano una mostra a lui dedicata- nei fluttuanti strascichi dei lunghi abiti floreali, nei tessuti di broccato o di velluto che le dame della Belle Epoque portavano con tranquilla disinvoltura durante le ore del giorno e che la Maison reinterpreta nei maestosi soprabiti da sera, nelle tinte liquide e fluide che caratterizzano le gonne di pizzo al polpaccio o i vestiti stretti in vita da alte fusciacche; il richiamo e il tributo a Marianne Faithfull -indimenticabile compagna di Mick Jagger, autrice di iconici pezzi di musica pop- e ai mitici anni ’70 nei tessuti corposi e maschili di blazer e cappotti dal taglio secco -non privi però di gentili bordure romantiche-, nei pantaloni a vita alta corredati da gilet “dandy-style”, nelle lane lavorate dei pullover oversize in abbinamento alle maxi sottane tempestate di cristalli o paillettes.
“Una composizione di contrasti in equilibrio tra voci differenti”, dunque.
Astrattismi, geometrie, volute, ricami, morbidezze, pennellate……….dialogano continuamente scambiandosi spesso come in un preciso minuetto e rendono il defilé dinamico e gioioso.
I colori percorrono tutte le gamme dei neutri -greige in primis- per proseguire nei toni del blu pavone e del petrolio e per sollevarsi infine nei rosa mauve e nei rossi accesi.
La sorpresa più grande?
Un insolito chiffon che, pur declinato in fantasie geometriche o pseudo-maschili come il pied-de-poul o il tweed, conserva comunque tutto il suo “primitivo” charme e si fa adocchiare ovunque, come per ricordarci che la femminilità può certo farsi contagiare dal guardaroba altrui…… ma fino a un certo punto…..
Sembra che il cielo si prenda una tregua, nel primo pomeriggio…….ma, anche se così non fosse, nel cortile interno -prudentemente coperto- dell’atelier di Lella Curiel pare splendere il sole.
Riposti i parapioggia, accomodati gli astanti in seggiole di vimini sparse tra una sorta di piccola foresta di bambù, ecco comparire, come in un salotto d’antan, l’Alta Moda Curiel che la padrona di casa ha voluto con determinazione presentare, senza polemica riguardo ad Altaroma, durante la Settimana della Moda milanese.
“FLORIGRAFIA IN 3 D” -tecnica e natura-, il nome dato alla collezione: un insieme di abiti elegantissimi (“una risposta estetica all’eccesso attuale di comunicazione”) che sbocciano, frusciano, si schiudono, si fanno baciare dalla luce e contemplare da occhi ammaliati. E, pur avendo l’impressione di tornare in quel tempo in cui le signore obbedivano rigorosamente ai diktat delle occasioni mondane -non trasgredendo per nulla al mondo alle regole del bonton-, si intuisce immediatamente che questi pezzi regali strizzano l’occhio a una rinnovata couture e si affiancano con freschezza a un realistico prêt-à-porter poiché, come afferma Madame Curiel, “….cresce il desiderio di storia, qualità e artigianalità da far dialogare con la superficialità e l’omologazione dell’epoca virtuale”.
Sono belle le indossatrici, e sorridono; hanno acconciature (Made by Aldo Coppola) ordinate, ed emanano grazia.
Ogni capo è un “capolavoro”.
Gonne costruite con 27 petali in sbieco, giacche che paiono dipinte sul busto; scollature simili a calle maestose, boccioli di stoffa che ondeggiano all’aria come delicati peduncoli; foglie su foglie di organza stratificate a formare una fragile scultura, 18 sottogonne che creano una corolla da sfogliare per cercarvi un celato segreto.
Pizzi e cristalli percorrono trasversalmente ciascun “fiore”, rilievi e trasparenze si rincorrono in ondulate movenze.
Le tinte, come nella tavolozza di un vivace pittore, si fanno ora soffuse, ora audaci; i neri si alternano ai bianchi, i pastello si accompagnano ai flou.
In tutto questo, lo sguardo attento e amorevole di due donne, Lella e Gigliola, accarezza con atteggiamento quasi materno ogni propria creazione partorita da una sempreviva capacità di “mettere al mondo” il bello.
Alla fine, tra applausi sinceri, qualcuno enuncia quella frase di Antoine de Saint Exupery che sottolinea che “Tutte le stelle sono fiorite”.
È proprio vero! Lì, in mezzo al pubblico, emerge -simile a un bianco fior di loto-, una nota e magnifica “Stella”, una vera e propria “Étoile”, una “Star” che fa ancora sognare (“Guardate le stelle, non i piedi”, diceva Stephen Hawking, lo scienziato scomparso in queste ore) nel vederla e nel riconoscerne l’eterno splendore: è Carla Fracci, fior tra i fiori, luce tra le luci, amica tra le amiche.
Un abbraccio affettuoso fra lei e Raffaella conclude l’emozionante evento a suggello del medesimo amore per tutto ciò che la “vera” bellezza è capace di trasmettere.
È ormai quasi sera, le nuvole non si stancano di svuotare il loro contenuto, si ha l’impressione che faccia sempre più freddo.
Si va però con passo deciso e con animo allegro verso l’ultimo appuntamento della giornata, consapevoli del fatto che qualcosa ci scalderà.
L’aspettativa infatti -lo si sapeva- non delude.
È il suggestivo Oratorio della Passione della Basilica di Sant’Ambrogio -location del cuore da sempre- che ospita la collezione per i giorni freddi del prossimo anno di Daniela Gregis.
E questa alacre stilista (descritta come una donna che “scrive, disegna, scarabocchia e telefona…per ogni idea realizzata, mille altre ancora prendono forma, in uno studio/laboratorio che non ha mai dato limiti al concetto di creatività…” che… “ride, si preoccupa, si arrabbia e fa regali a tutti…amici, parenti, cugini, artisti, figli, mamme e perfetti sconosciuti si scambiano le parti, interagiscono e danno forma a creazioni/creature sempre nuove e diverse…”), sembra rispondere a questo “bisogno” di calore. Quasi come se avesse preparato -con una certa “preveggenza”- un fuoco per ritemprarci, un calice per ristorarci.
Tutto è rosso. Tutto è avvolgente. Tutto è nutriente.
Una sinfonia di toni che vanno dal porpora, al cardinale, al cremisi, all’aranciato, al melograno…..
Già, il melograno….”rosso di tanti rossi, tondo di tanti tondi, vita di tante vite…” è il punto di partenza e il leitmotiv di ogni pezzo che ammiriamo.
La morbidezza della forma, la scorza variegata, i chicchi succulenti del frutto… si trasformano in volumetrie dolci e tondeggianti, in sfumature poliedriche e protettive, in piccoli accessori che enfatizzano ed esaltano -come luminosi rubini- il resto.
Le fantasie di bluse, pantaloni, calze, soprabiti….richiamano la meraviglia dei boschi durante il foliage o la preparazione delle tavole natalizie della Vigilia, così ricche di decorazioni posate sulla tovaglia con mani amorevoli e trepidanti.
Il monocromatico si accende nei pizzi, nelle lavorazioni, nei rilievi, nelle goffrature…..dando vita a dettagli unici e irrinunciabili.
Le sovrapposizioni nascondono -come in una scatola magica- cinture dalla cromia fulva o graziosi corpetti scarlatti di lana sottile.
La versatilità dei capi rovesciabili e il mescolamento caleidoscopico dei tanti materiali usati -i cashmere, le sete, i cotoni corposi…- alludono al gioco perenne della moda.
Un teorema estetico, un effetto dirompente, un segno preciso, quel che rimane “addosso”.
All’uscita, in quella meravigliosa piazza -fulcro della Fede milanese- resa ancor più lucida dalla pioggia, siamo tutti quanti come “ravvivati”, “rinvigoriti”, “vitaminizzati”.
Si ha come l’idea che -con tutto quel colore impetuoso negli occhi simile a un cielo serale vermiglio che annuncia un indomani pieno di sole- ora faccia persino più caldo……
E in quel preciso istante torna alla mente quel che diceva del rosso Bill Blass, lo stilista statunitense che ha vestito per anni molte first lady amanti del suo stile sobrio ma “giusto”:
“Il rosso è la cura definitiva per la tristezza”.