Il vero volto di Antonello
Davanti a noi un volto dolcissimo di ragazza siciliana, assorta nei suoi profondi pensieri, con una mano protesa nella nostra direzione come per difendersi pudicamente. Chi siamo noi a cui i suoi grandi occhi blu sono rivolti? Siamo l’Arcangelo Gabriele che le è appena apparso annunciando a lei – a Maria piena di grazia, benedetta fra tutte le donne – che diventerà madre di Dio. Noi siamo fuori della scena, di cui essa sola è umile protagonista con la sua bellezza pulita, la sua semplicità, il suo timore, ma soprattutto il suo sì alla volontà del Cielo, che sembra avvolgerla con l’azzurro intenso del suo velo, di cui lei tiene chiusi i lembi con dita vereconde.
E’ il ritratto della Vergine Annunciata di Antonello da Messina (1475 circa), il suo dipinto più noto al grande pubblico ed indiscussa icona dell’eccezionale mostra in corso a Palazzo Reale a Milano (fino al 2 giugno), curata da Giovanni Carlo Federico Villa e nata dalla collaborazione tra la Regione Sicilia e il Comune di Milano con la produzione di Palazzo Reale e MondoMostre Skira (Skira in particolare è editore del pregevole catalogo dell’evento, che presenta l’intero corpus di opere del maestro messinese).
Di Antonello (attivo nel 1456 – Messina 1479), quasi certamente il più grande ritrattista del Quattrocento, solo 35 opere di sicura attribuzione sono sopravvissute alle vicissitudini del tempo e di queste l’esposizione milanese è riuscita a metterne insieme ben 20, provenienti da prestigiosi musei italiani e stranieri come la National Gallery di Londra, gli Uffizi di Firenze, il Philadelphia Museum of Art, per citarne alcuni. La rassegna di Palazzo Reale comprende anche alcuni schizzi e appunti di Giovan Battista Cavalcaselle, che fu raffinato conoscitore di Antonello e, nella seconda metà dell’Ottocento, realizzò il primo catalogo delle sue opere.
In grado di fondere le suggestioni coloristiche della scuola veneta, le ispirazioni dei grandi maestri italiani pionieri della prospettiva (Piero della Francesca in primis), l’abilità luministica degli artisti fiamminghi, l’icasticità e la passione mediterranea, il siciliano Antonello – pittore viaggiatore – da secoli continua a suscitare la nostra ammirazione con il suo stile personalissimo che si esprime in forme, luci, volumi, accordi compositivi capaci di incantare, dando vita sulla tela a personaggi indimenticabili, i cui dettagli ed espressioni (gli sguardi in particolare) seducono irresistibilmente.
Tra i capolavori più celebri dell’artista messinese in mostra a Milano vi è il “San Girolamo nello studio”, la cui impostazione invita l’osservatore a spiare, attraverso la finestra aperta, il Santo assorto nella lettura dei testi sacri, mentre solo il leone pare accorgersi del mondo esterno. Particolari come gli oggetti sugli scaffali, la piastrelle del pavimento, gli uccelli sul davanzale e la qualità della luce richiamano il realismo dei pittori delle Fiandre e soprattutto Van Eyck, di cui il Maestro siciliano dimostra di conoscere le tecniche (sebbene non esistano prove certe che egli abbia mai viaggiato all’estero). E’ assai verosimile che abbia acquisito i “segreti” direttamente dagli artisti fiamminghi operanti in Italia al suo tempo. Di sicuro si sa che egli nel 1475-76 soggiornò a Venezia, dove la sua tecnica innovativa esercitò una notevole influenza su Giovanni Bellini.
Su Antonello comunque fu anche Piero della Francesca ad incidere sensibilmente. Nel Polittico di San Gregorio (1473) le citazioni sono evidentissime nell’utilizzo di certi archetipi formali, ma soprattutto nell’impiego del fondo d’oro come di una superficie-specchio che determina i volumi di luce esatti in cui si pongono i personaggi, con la differenza che Antonello adotta la luce teorizzata da Piero come naturale, oltre che come divina. Così essa sembra penetrare e far vibrare l’epidermide dei colori, sciogliendo il rigore dei tratti.
Le sue sono indubbiamente opere di forte matrice ideologico-religiosa, che rispecchiano le visioni dei committenti, ma non prescindono affatto dalla poetica artistica e dalla concezione originale dello stesso autore, che le concepisce nello spirito di una cultura umanistica in cui la ragione mai si disgiunge dalla fede.
Antonello è rinomato in sommo grado per i suoi ritratti, specialmente maschili, in cui i volti emergono dal fondo scuro come prodigi di un misterioso demiurgo, per cui la luce trova nel sembiante raffigurato il proprio schermo. In effetti in essi la cifra distintiva è il legame indissolubile tra luce, figura e prospettiva, a cui Antonello dedica la sua ricerca tecnica ed interiore, come ad esempio nel famoso “Salvator Mundi” (1465), dove la definizione espressiva del viso del Signore coincide con la definizione dello spazio in senso prospettivo-luministico. La grandezza di Antonello sta proprio nel riuscire a fondere pienamente le masse cromatiche con quelle atmosferiche e luminose, ponendo in dialogo umanità e natura, trasformando il mito in rivelazione ed il sentimento del creato in conoscenza, sfuggendo alla filosofia per cercare la poesia della natura.
Come ha scritto lo storico dell’arte Claudio Strinati, “i personaggi ritratti da Antonello da Messina hanno fisionomie evidenti al punto che chi guarda quei ritratti è portato a pensare come dovesse essere esattamente quella persona. Nello stesso tempo ciò che predomina in questi quadri è uno stile talmente personale che si riconosce immediatamente… Si tratta di uno stile che trasforma gli elementi della fisionomia in geometria, che immobilizza un’immagine che in realtà è mobilissima perché piena di vita, di evidenza; che non risparmia la descrizione di piccoli dettagli, perfino di difetti della fisionomia, li riproduce per come sono stati veramente, e nello stesso tempo li alza a un livello di perfezione formale che rende bello ciò che in natura probabilmente non è tale”.
Antonello da Messina sembrava attendere questa mostra di Palazzo Reale per sciogliere qualche suo mistero e svelare il suo vero volto.