Filosofia della moda
“Coltiviamo la superficie, viviamo in una realtà sempre più fittizia, abbiamo una identità sempre meno durevole”. Un interessante saggio giunge a queste conclusioni dopo un percorso di ricerca del rapporto tra moda e identità personale. Il volume consta di otto saggi di lettura indipendente ma legati dalla tematica dell’identità. Autore il filosofo svedese Lars Fr. H. Svendsen. Titolo “Filosofia della Moda”. Ed. Guanda, Parma 2006. La moda è stata studiata dalla sociologia, dalla psicologia, dalla storia.
Per quale ragione, -viene da chiedersi- non è possibile trovare saggi di filosofia che ne parlino in modo esteso e profondo? Eppure è un fenomeno che riguarda l’uomo, la percezione di sé, la persona e la sua identità sociale.
Forse perché la filosofia è la scienza degli universali e la moda è il meno universale, -essendo il più effimero- dei fenomeni che toccano l’uomo? Se è così certamente non ha senso la ricerca filosofica sulla moda e tanto meno una ricerca che tenti di dare un inquadramento filosofico del fenomeno.
Forse perché la filosofia dell’uomo, l’antropologia filosofica, è scienza che cerca ciò che è universalmente radicato nella natura dell’uomo e la moda compare solo quando si danno nella storia dell’umanità alcune premesse di ordine economico e sociale?
Insomma tutto fa pensare che la moda non possa essere sottoposto ad un esame filosofico.
Il tentativo di esame della moda da un punto di vista filosofico è intrapreso da Lars Fr. H. Svendsen, giovane filosofo norvegese, con un testo dal titolo preciso “Filosofia della Moda”, edito dalla Ed. Guanda, Parma 2006. Il testo è composto di 8 capitoli indipendenti tra loro, che prendono in esame il rapporto tra la moda e la modernità, corpo, l’arte, il consumo, l’identità.
Nella prefazione l’autore giustifica il perché di un discorso filosofico sulla moda. Se la filosofia è la disciplina che aiuta a comprendere se stessi, e se la comprensione del concetto di moda può contribuire alla conoscenza di noi stessi e dei nostri comportamenti, allora la moda merita di “essere presa in seria considerazione quale oggetto di indagine filosofica” pag. 5.
Pur nella varietà di temi e nella conseguente frammentarietà dello svolgimento, che rende anche di valore diverso i singoli capitoli, esiste un filo conduttore nell’indagine del filosofo svedese. Lo individuiamo nell’incipit del capitolo ottavo: “L’identità è uno dei concetti chiave nella descrizione della funzione della moda. Si suppone infatti che la moda debba contribuire alla formazione dell’identità” pag. 152.
E’ l’identità il concetto che emerge costantemente. Lo ritroviamo già nel capitolo iniziale dedicato di individuare una definizione esaustiva del fenomeno moda. Rappresenta poi il sottofondo per la ricerca del principio della moda; lì dove vengono individuati nella moda gli stessi caratteri della modernità: la soppressione della tradizione, il cambiamento, la ricerca del nuovo “inteso come costante corrente di «nuovi» oggetti che ne sostituiscono altri, che a loro volta sono stati «nuovi» ma che sono diventati «vecchi»”pag. 25. Il cambiamento costante caratterizza il fenomeno della moda, ma a differenza del cambiamento insito nella modernità, esso nella moda è irrazionale, è il cambiamento per il puro cambiamento, non è mai finalizzato ad un miglioramento dell’oggetto, o a renderlo più funzionale.
Il concetto di identità e le modalità di realizzazione del sé occupano le considerazioni de capitolo ottavo. Ricollegandosi tra l’altro al fatto che la modernità ha portato alla soppressione della tradizione e quindi della base su cui è possibile costruire la propria identità, il nostro autore si chiede quale ruolo può giocare la moda nello sviluppo dell’identità. La risposta al quesito la va costruendo con il contributo di altri autori, attraverso un’analisi critica delle posizioni di ognuno, da Simmel, a Giddes, a Bordieu, Foucault, Taylor, fino a Ricoeur; per terminare con una posizione critica nei confronti delle considerazioni di Gilles Lipovetsky.
Altro capitolo di interesse è quello relativo al rapporto moda corpo: E’ ancora alla luce del concetto di identità che va letto il capitolo, posto che “noi cerchiamo la nostra identità nel corpo e gli abiti ne sono l’immediata prosecuzione” pag. 84. Sono d’obbligo i riferimenti al tatuaggio, utilizzato nella società occidentale moderna come affermazione della propria identità; e alla chirurgia estetica, che sembra porsi oggi come strumento per modellare l’identità posto che “nell’età postmoderna la costruzione dell’identità personale è in misura preponderante una progettazione del corpo” pag. 82.
Ultima indicazione per la lettura, riguarda il capitolo su moda e consumo. A partire dal valore simbolico che gli oggetti hanno acquistato nella nostra cultura, ecco che Svendsen afferma “Mai come ora il valore simbolico delle cose è determinante per la nostra identità e realizzazione sociale”¦.Ciò che si vende è la rappresentazione di un prodotto, e come consumatori compriamo qualcosa che attiene a tale rappresentazione” pag. 134. In altro punto si chiede ” Perché ci aggrappiamo al consumo dei simboli? La risposta più comune è che vogliamo formare la nostra identità.” pag. 139
Ma andiamo alle conclusioni. Così le formula l’autore. La moda non è in grado di modellare le nostre vite, anche se in qualche momento ha avuto questa pretesa. Il pluralismo della moda, non ci fa più liberi, però il viaggio all’interno della moda può aiutarci a scoprire verità scomode che ci toccano da vicino. Quali? “Che coltiviamo la superficie, che viviamo in una realtà sempre più fittizia, che abbiamo una identità sempre meno durevole?” pag. 176.