Scenari per una Moda Etica.
Per decenni l’uomo ha pensato di poter sfruttare indiscriminatamente le risorse ambientali ed energetiche, sicuro del suo dominio sull’intero spazio circostante e convinto dell’inesauribilità delle ricchezze naturali. Lo sviluppo ha proceduto ad una velocità sorprendente, la tecnologia è arrivata a vette prima impensabili. Per ultima la globalizzazione ha reso possibile l’utilizzo delle medesime tecniche in tutto il mondo, ha omogeneizzato le modalità di produzione e, cosa più importante, ha livellato le scelte dei consumatori e più in generale il comportamento di noi tutti.
L’uomo, guidato dalla sete di potere da un lato e dalla smania di comodità dall’altro, non si è mai soffermato a condurre un’attenta e cosciente riflessione sulle conseguenze dei suoi atti. Solo ora, nel ventunesimo secolo, all’apice dello sviluppo tecnologico e industriale, ci si rende conto che lo sfruttamento indiscriminato di decenni ha provocato un impoverimento delle materie prime e delle risorse naturali ed energetiche. E finalmente ci si è resi conto che la Terra non è un serbatoio infinito di approvvigionamenti, i suoi frutti hanno limiti temporali e spaziali. Nonostante la presa di coscienza di tali rischi, il mercato, il sistema industriale e gli stessi consumatori stentano ad adottare misure in grado di far fronte all’emergenza ambientale. È sicuramente difficoltoso e costoso convertire in toto la grande macchina imprenditoriale, significherebbe operare grossi investimenti nel presente, sostenerne i costi e destinare i ricavi al lungo termine. Studiosi, scienziati, universitari si interrogano su quali potrebbero essere le conseguenze
dell’allarmante stato ambientale e tentano di fornire rimedi e misure attuabili. La seconda edizione del convegno internazionale “Ethical Fashion”, promosso dall’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha fornito notevoli spunti di riflessione sul tema, indagando i risvolti dell’emergenza ecologica nell’ambito dell’industria della moda. Ebbene sì, il sistema del fashion costituisce una delle produzioni a maggior capacità di trasformazione di materie prime e di consumo energetico del mondo. A conferma di questo trend, i dati ci dicono che solo nel 2007 sono stati prodotti più di 80 milioni di fibre tessili nell’intero pianeta e che ogni anno l’industria della moda provoca un cospicuo incremento del volume di rifiuti. Nel pomeriggio di venerdì 8 maggio, a chiusura dell’evento, si è tenuta nell’aula Magna della sede milanese una Tavola Rotonda, in cui hanno preso la parola personalità operanti nel settore delle fibre tessili ed economisti. Il primo intervento è stato di Elena Schneider, rappresentante dell’Associazione Slow Food. Fondata negli anni ottanta da Carlo Petrini, l’organizzazione promuove, come suo manifesto, il cibo “buono, pulito e giusto”. Chiara la filosofia, encomiabili gli intenti. Slow Food ha lanciato nel 2004 la fiera “Terra Madre” che riunisce i soli produttori di fibre naturali mondiali, penalizzati dall’uso eccessivo che il sistema moda fa delle fibre artificiali. Nell’edizione del 2008 è stato firmato da tutti i partecipanti un Manifesto, una dichiarazione ufficiale per dire no al fast fashion e a quella parte del settore che punta su produzioni continue e veloci, a danno della qualità e dell’utilizzo di materiali naturali. Come ogni tema di grande portata, anche quello ambientale trova sostenitori e detrattori, questi ultimi rappresentati da apparati che, pur rendendosi conto dell’emergenza, dato peraltro innegabile, sono molto più cauti sia nelle critiche all’attuale sistema sia nelle misure future da adottare. Per Paolo Piana, presidente di Assofibre Cirfs Italia, il rapporto costi/benefici di un’azienda che tiene conto dello sviluppo sostenibile diventa negativo nel breve termine e il consumatore molto spesso non è disposto a pagare il maggior prezzo che la cura ambientale comporta. Piana fa inoltre notare che non tutti i Paesi sono inclini ad implementare politiche di trasparenza ambientale e produttiva, il che produce una falla in un più ampio piano di risanamento. Assofibre riunisce gran parte dei produttori di fibre artificiali ed è nata proprio allo scopo di tutelare il loro operato e i loro prodotti. Le fibre man made rappresentano il 60% delle fibre totali e solo lo 0,4% del consumo mondiale di petrolio. Sono inoltre soggette ad una più semplice manutenzione che si risolve in un risparmio di acqua, energia e detersivi. Per Piana rappresentano l’ambito per eccellenza dell’innovazione grazie alle molteplici prestazioni e applicazioni. Il presidente di Assofibre tiene a sottolineare che buona parte delle preoccupazioni riguardanti l’emergenza ambientale è solo frutto di inutile pessimismo e allarmismo. E conclude citando Alberto Alesina, uno dei principali economisti mondiali: “Rilanciare la crescita è un obiettivo impellente per i prossimi mesi. Salvare l’ambiente e l’equilibrio ecologico del pianeta lo è per i prossimi decenni”. All’intervento di Paolo Piana è seguito quello di Enrico Cietta, economista del centro studi Diomedea. I riflettori sono stati puntati sul mercato e le sue regole. L’eticità, per un imprenditore, non è a costo zero e soprattutto in un settore come quello della moda, in cui, più che oggetti, si consumano significati, implementare politiche e strategie che tengano conto del rispetto ambientale in ogni fase non è così agevole. Cietta riscontra che ultimamente l’eticità di un prodotto è associata alla sua durata, in un rapporto direttamente proporzionale. Ma tale concezione non è un azzardo in considerazione del fatto che la moda, per sua stessa natura, è effimera? È questa la principale riflessione di Cietta, il quale si interroga poi su un punto abbastanza controverso: è la moda a dover essere etica o ultimamente sembra che sia l’etica ad essere di moda? C’è quindi il rischio che l’implementazione di misure eco sostenibili finisca solo per essere ai nostri giorni un vanto di natura estetica, sgombro di qualsiasi altra intenzione o progetto seri? I compensatori, gli equo solidali, i prodotti amici dell’ambiente, le filiere responsabili sono pratiche sostenibili anche nel lungo termine o costituiscono solo una moda degli ultimi tempi? Per Cietta è necessario, date le evidenti difficoltà dell’imprenditoria di risanare le modalità di produzione, un sistema di regole chiaro e univoco, affinchè l’informazione e le responsabilità non siano solo a carico delle aziende ma note anche ai consumatori, attori senz’altro decisivi attraverso le proprie scelte. Una delle ultime testimonianze è stata la presentazione di un progetto in corso d’opera promosso da Marina Spadafora, stilista italiana, Davide Grazioli, artista residente a Berlino e Paolo Pavesi, marketing manager. Il programma consiste nella creazione di un brand, completamente eco sostenibile, la cui produzione sarà spostata per intero in Africa. I tessuti provengono dall’Egitto, da un’oasi in cui un medico locale, dopo aver studiato in maniera eccellente la biodinamica in Austria, ha impiantato una fabbrica di tessuti naturali che dà lavoro a centinaia di persone. La produzione si svolgerà in Etiopia. È un progetto encomiabile ed ambizioso che non trascurerà lo styling, in un’ottica però di sostenibilità, non solo ambientale ma anche equo solidale.
La moderatrice della Tavola Rotonda Aurora Magni, promotrice tra gli altri dell’ intero evento, potrà ritenersi soddisfatta dell’indagine e del contributo apportati dall’iniziativa ad un tema di così grande portata quale è quello dello sviluppo sostenibile.