E adesso cosa mi metto?
Quante volte ci siamo poste davanti all’armadio traboccante di abiti, gonne, pantaloni e via dicendo, chiedendoci ciò? Il dubbio scatta soprattutto quando occorre abbigliarsi per un’occasione particolare.
Ma cosa intendiamo per “occasione particolare” ? Bella domanda.
Dobbiamo parlare ancora una volta di adeguatezza; rispetto agli altri, nel rispetto degli altri; rispetto alla situazione ma anche rispetto all’ambiente in cui si svolge, la situazione.
Il segreto della vera eleganza appartiene sicuramente a chi è in grado e possiede la capacità di abbinare i capi “intonandoli” alla propria persona, al proprio fisico, alla propria identità in modo armonioso. Ma, vista la disinvoltura quasi grottesca con cui, invece, ognuno porta di tutto, con la scusa che “va tutto”, occorre soffermarsi un attimo seriamente.
È inutile dire che, ad un colloquio di lavoro, ci si deve presentare eleganti ma con moderazione, ordinati ma con spontaneità, semplici ma con garbo e personalità……. Ça va sans dire.
Sappiamo bene tutti che le implicazioni connesse al vestirsi sono innumerevoli poiché vanno dal proteggere dagli agenti atmosferici, al custodire la propria intimità; dal raccontare di sé e del proprio gruppo di appartenenza, al determinare lo stato sociale; dall’abbellire per sedurre (condurre a sé), allo stupire; dal sottolineare momenti cruciali della nostra vita, al rievocare memorie…….. Appunto…
E allora perché così tanto caos, in giro? Perché nell’abbigliamento una superficialità così grande che spesso rasenta la sciatteria?
Perché si fa fatica. Perché è più comodo trincerarsi dietro affermazioni del tipo “tanto non ha importanza”, “tanto ci sarà di tutto”, “tanto quello che conta è altro”………
Vero, può darsi. Ma provate a presentarvi con il seno di fuori oppure con i bigodini in testa davanti al capo del personale pensando “tanto è il cervello che conta …”
Qualcuno ha detto: “non esiste una seconda occasione per fare una prima buona impressione “.
Non occorre per forza essere delle signorine Rottermaier che, per carità, hanno fatto il loro tempo un bel po’ di anni fa, quando le donne in carriera si auto-rappresentavano con un look autoritario e rigido (sarebbe stato meglio autorevole ma morbidamente chic, che ne dite?).
Occorre invece che ciò che indossiamo sia un po’ come la nostra porta di casa. Permetteremmo di oltrepassarla a chiunque per condividere con noi la nostra intimità?
La Banca d’Inghilterra ha da poco imposto un look da ufficio appropriato alle proprie dipendenti tramite dei corsi e, in parecchie scuole, si è chiesto più decoro agli studenti, nonostante la canicola….
Proprio in questi giorni, in due situazioni differenti, ho avuto modo di osservare, quasi con occhio da etologo sul campo( bei tempi quelli, quando preparavo la mia tesi sull’argomento!), le varie modalità di “piumaggio”. Umano, si intende.
- Serata in campagna per festeggiare una piacevole ricorrenza.
- Incontro e accoglienza con e per genitori e neo-iscritti in uno storico liceo milanese.
Tanta buona fede, sicuramente, ma un delirio…. di errori, di carenze, di manchevolezze.
Mancanza di buon gusto? Forse, certamente di buon senso…..
Nella prima situazione spiccavano mises certamente belle e sofisticate ma non propriamente adeguate al luogo.
Eravamo in campagna!!!! Al crepuscolo, con le candele accese, ma pur sempre in un contesto agreste. Indossare gli stessi abiti svolazzanti usati per una precedente cerimonia diurna non era appropriato; così come appariva esagerato il total black, decisamente più adatto ad una festa in discoteca.
Domandiamoci qualche volta, semplicemente: “metterei il medesimo abito per il medesimo tipo di cerimonia svolta, ora nelle sale di un lussuoso albergo sito nel centro cittadino, ora nelle stanze di una gradevole country-house con tanto di acque che scorrono e di romantici salici piangenti, ora in un lussuoso maniero, ora su una spiaggia bianchissima con un sacerdote di colore che, sotto un arco di fiori colorati, benedice gli sposi ?” NOOO !!!!
Nella seconda situazione, invece, ciò che scandalizzava, ebbene sì, scandalizzava, era la patetica e puerile corsa delle madri verso una squallida imitazione, nel modo di vestirsi e di atteggiarsi, delle figlie appena quattordicenni. Il terreno qui si fa minato…………….
Corsi di dress code per studenti? Sì ma anche per genitori troppo giovanilistici…….. L’uovo viene dal becco.
Sofismi? Capziosità? Io dico, questione di stile.
Non si vuole demonizzare. Si vorrebbe invece ritrovare o riscoprire quella definizione di gusto che, come afferma Giancarlo Maresca, è “la capacità di sentire le voci segrete, di avvertire le forze sottili, di cogliere le differenze nascoste, infine di credere a quanto si è appreso in questo modo, il che in ultima analisi significa credere a sé stessi”.