Sia vincitori che vinti……
Questo non vuole essere propriamente un articolo “di moda”.
Vuole essere l’esternazione di sensazioni provate. Senza particolare giudizio, come se a parlare fosse la pelle, e non la voce che segue il pensiero.
Se ne sono lette davvero tante, in questi giorni -prima, durante e dopo-, a proposito del festival della canzone italiana di quest’anno, 62 anni dopo il suo esordio. “Sessantadue” anni. L’età di qualcuno a cui generalmente si porta un giusto rispetto.
Aggiungere dunque troppe cose al già detto, al chiacchiericcio dilagante, non ci pare originale. E neanche opportuno.
Quel che vorremmo allora fare è veicolare impressioni, senza soffermarci su nomi e persone, senza riferirci in modo specifico e insistentemente a qualcuno, senza particolari condizionamenti che rischiano di cadere nella trappola dei pregiudizi. Così, come viene -quasi a tabula rasa. I disagi, i brividi, la commozione, i presagi, i déjà-vu. Le emozioni recepite, in poche parole. O i sentimenti provati, se si preferisce.
E ci viene da dire che armonia e disarmonia si sono decisamente messe in mostra. Ora l’una, ora l’altra, in una altalenante e bizzarra competizione. Quasi a voler accontentare un po’ tutti: la critica, il pubblico in sala, i telespettatori sparsi ovunque, gli amatori tradizionalisti, i giovani scalpitanti e avidi di novità, i meno giovani nostalgici di un tempo che fu…. Ma, si sa, far felici tutti quanti non è cosa facile. Qualcuno, inevitabilmente, resta fuori.
La femminilità si è espressa usando armi a volte improprie. Che peccato! Vien quasi da dire che tanta e tale bellezza, se mal esibita, diventa spreco. Buttata via. Non più regolatrice di pensieri condivisi o riconciliatrice di eventuali asperità, bensì procacciatrice di sguardi inquinati e ricercatrice di attenzioni esagerate. Come dire? Una “brutta bellezza” (a testimoniare che gli ossimori vanno alla grande, di questi tempi!), qualcosa che, pur attirando a sé, respinge da sé. Perché “fuori misura” –e non intendiamo certo riferirci alle taglie dei vestiti, anche se……
Ed ecco che a fantastici abiti simili a nuvole, contrapposti ad arte nel colore e gradevolmente assimilati nella forma (che meraviglia quel bianco, quel nero –due regine del gioco degli scacchi, sullo sfondo scenografico del teatro!), si sono succeduti tristi strizzamenti e banali accostamenti (quel pizzo confuso, quel bicolore sgargiante simile ad un famoso abito disneyano oggetto di litigio per un trio di “dispettose” fatine, quelle balze da meringa variegata –il tutto peraltro mostrato contemporaneamente in un’unica uscita “a tre”!). E molto altro ancora, in un continuo su e giù di esaltazione e di delusione.
Ogni artista, si sa, è eclettico, ma ognuno generalmente conserva un proprio stile attraverso il quale possa essere riconoscibile. Stavolta è invece accaduto di vedere la stessa persona, in serate diverse, così trasformata, così reinterpretata, da sembrare un’altra. Potere della manipolazione! Sagra dell’incapacità di riuscire a rimanere coerenti, rispettando ugualmente, ma in modo equilibrato, le parti!
Quella di chi indossa e quella di chi “fa” indossare.
Quella di chi si presta e quella di chi “presta”.
È chiaro, abbiamo detto che non vogliamo puntare troppe dita “a casaccio” e che non abbiamo l’intenzione di partecipare a un gioco di voci caotico tanto quanto certe pettinature viste (e colori dei capelli!), certi imbellettamenti evidenziati, certe dissonanze mostrate attraverso maldestri accostamenti con gli accessori. Per carità, si è infatti ammirata anche tanta professionalità, tanta delicatezza, tanta spontaneità, tanta preparazione. Abbiamo però desiderio di sottolineare ciò che davvero ci ha lasciato aperti dei dubbi. Quelli che, bene o male, difficilmente troveranno una risposta; forse perché siamo calati in una realtà che si nutre di un tipo di comunicazione così controversa e contraddittoria da non riuscire a farsi “davvero” capire, o forse perché siamo assordati e bombardati da tali e tanti preconcetti da fare “davvero” fatica a fermare l’attenzione su ciò che corrisponde al proprio “sentire”. Fatto sta che il disorientamento –che colpisce come un laser e confonde come un insetto noiosamente disturbante- ha esplicitamente imperato.
E possiamo aggiungere che, se i blu (declinati nelle varie sfumature), insieme ai bianchi (purissimi e luccicanti) e insieme ai neri (eternamente vincenti e trasversalmente adeguati), ci hanno incantato e favorevolmente impressionato, rispondendo elegantemente a ciò che viene richiesto ad una mise da scena -in onore della assoluta capacità e fantasia di bravissimi e noti stilisti-, non altrettanto riusciamo a dire riguardo ad altro.
E non potendo tralasciare di proferir motto su quel di cui tutti hanno parlato e parleranno ancora, vale a dire la statica “prestazione” di una troppo “algida” freschezza e la trasgressiva esibizione di una troppo “conturbante” effervescenza, non resta che sospendere nell’aria qualsiasi opinione.
Di certo, a questo proposito, rimane l’idea di qualcosa che rimanda al termine “superfluo”, “inutile”, “non necessario” -e di cui si sarebbe potuto fare a meno. Allo stesso tempo rimane l’idea di qualcosa che rimanda al termine “indispensabile”, “utile”, “necessario” –e di cui certamente si è sentita la mancanza. Lasciamo a voi la risposta dell’indovinello……
Una volta i ricami spuntavano in modo birichino dai tessuti, non diventavano tutt’uno con il corpo, quasi a trasformarsi in un vero scarabocchio. Una volta la grazia del portamento –ben ammaestrata- si faceva beffe di scalinate che, se pur difficoltose, si offrivano docilmente alla disinvoltura di chi le affrontava senza quei trampoli decisamente goffi e pericolosi. Una volta un cantante dagli occhi buoni interpretava una canzone sbarazzina che faceva così:
“Vola la farfalla impazzita, sfiora sorridendo la vita…….io lo so, io lo so, ritornerà, perché lei cerca sempre il sole”……
Il sole, appunto, e il cielo, quello vero, non quello simulato da un pezzo di stoffa che del cielo, a parte il colore, non ricorda proprio nulla.
E da cui –poverina- è lontana anni luce, imprigionata da una sciocca parvenza di libertà che la destinerà a rimanere comunque nascosta.