Al calar dell’autunno… aspettando l’inverno
Uno, due, tre”¦.. pronti via!
Armadi affollati di capi ormai inutili, non perché fuori-moda, ma perché troppo leggeri, quindi inadeguati alla nuova stagione in cui siamo entrati.
Cassetti traboccanti di costumi da bagno non ancora riposti perché, chissà mai, a metà ottobre, se va bene, qualche bagno ancora si può fare.
Bauli ricolmi di tutto un po’, in attesa di essere aperti per mostrare le loro pregresse mercanzie.
Sacchetti occultatori di morbidi e caldi indumenti che, acquistati a fine estate, non vedono l’ora di essere indossati.
Armate dunque di custodie areate, di desiderio di cambiamento, di volontà di fare “pulizia”, è tempo di metter mano a questa promiscuità caotica.
Cosa ci offre, quest’anno, la moda?
Ci offre sicuramente, almeno da quello che si sente e si vede nell’aria, qualcosa che esprime una ricerca attenta alla qualità e al “bello”.
Oseremmo dire in modo più accurato del solito.
Tutto è molto sobrio, pacato, netto.
Lo stile, ogni stile, di conseguenza, risulta essere più chiaro, più intelligibile.
Ci piace sottolineare che la voglia di bellezza è una peculiarità insita in noi, presente dagli albori dell’umanità ma, negli ultimi tempi, questa regola aurea la si era messa un po’ da parte, probabilmente inascoltata quasi del tutto.
Forse pochi stilisti hanno operato a partire da una “tabula rasa”del passato recente, consapevoli del fatto che “sapere da dove ricominciare” è necessario per non rischiare una sorta di presunzione che non è possibile avere. E’ vero, però, che l’utilità, quella che guarda oltre, ha di nuovo fatto loro da musa ispiratrice.
Utile e bello insieme.
Lo si intuisce anche solo buttando uno sguardo alle vetrine, agli allestimenti, ai colori che frettolosamente scorrono anche davanti agli occhi di chi poco si fa influenzare dal fashion-system.
Lo si vede nei bei cappotti, concreti e rassicuranti, fatti per coprire, riscaldare, avvolgere-oltre che per abbellire. Pochi orpelli. Molti colli.
Lo si osserva nel ritorno, che qualcuno ha definito “gioioso”, del cardigan, declinato nelle varie lunghezze (da piccolo scalda-cuore a grande maxi-pull), nei vari pesi (da quello ultraleggero in prezioso cashmere a quello foderato in lussuoso visone che lo trasforma in un vero e proprio capo-spalla), nei vari colori (i più accattivanti sono quelli che si ispirano alla terra e ai minerali).
Lo si nota nel grande riaffacciarsi della pelliccia, anche ecologica e colorata, che, tramontate le contestazioni travestite da ideologie-a volte-preconcette, viene usata per ornare colli e cappucci, polsi e cinture, sciarpe e cappelli.
Lo si ammira nella linea degli abiti, spesso geometrica ma mai rigida o ingombrante. Pezzi storici rinfrescati o rinverditi come la redingote, la tunica a trapezio, lo chemisier appena sopra il ginocchio. Per una donna che può divertirsi a intercambiare i capi ma che, comunque, rimane “sempre a posto”.
Lo si capisce nella velleità di eliminare l’espressione “troppo”, “esageratamente”, “oltremisura”, “in eccesso” e di aggiungere invece il termine “bon-ton”, riferito all’insieme oltre che al particolare.
Lo si percepisce nella forma dei pantaloni che, ampliandosi morbidamente nella zona dei fianchi, fanno tornare in mente il garbo con cui, un po’ di tempo fa, ciò che ora viene definito lato B veniva camuffato da tessuti meno aderenti e da fogge meno volgari, senza nulla togliere alla femminilità. Un’eleganza morale, verrebbe da dire. E, laddove i calzoni sono stretti o addirittura strettissimi, esprimono tale caratteristica facendo da supporto a maglie, giacche, mantelle, cappe e caban decisamente over-size.
Lo si intravvede negli accostamenti, a volte azzardati, ma per questo innovativi, che mirano al gioco dei contrasti.
I colli rotondi -da brava ragazza uscita da Oxford- portati con stivali da cavaliere.
I tessuti svolazzanti e romantici delle bluse in chiffon – con allacciatura a nastro- accostati a lunghe gonne dalla vita alta in tweed o in flanella pesante.
I tricot rustici ma dai dettagli che raffinano e impreziosiscono come le passamanerie lavorate “dentro” le trame dei maglioni o i fili luminosi sia oro che argento per “esaltare” i materiali e “far risaltare” i colori (che spesso sposano le tonalità dei naturali).
Una donna forte e iper-femminile nello stesso tempo, corazzata ma tenera come un paguro, fiera ma accogliente nella sua molteplice capacità di trasformarsi che da sempre, ma mai come ora, la caratterizza.
Lo si scopre nella fantastica essenzialità che, simile ai principi della “minimal art”, molti creatori hanno adottato per esprimere il loro stile.
Un tubino rigoroso, non obbligatoriamente nero.
Un blazer dal taglio sartoriale, blu navy, scozzese o testa di moro. Una polo di cashmere con grandi bottoni di madreperla (unica concessione frivola-si fa per dire).
Una scarpa stringata dal sapore inglese, magari di camoscio e sfrangiata. Un’attenzione quasi sofistica alle rifiniture e ai particolari.
Eloquenza del dettaglio. Occhio però a non cadere in un esagerato edonismo.
Lo si ricava dalla sicurezza con cui, ognuna di noi, riesce ad interpretare, a modo proprio, ciò che il mercato sottopone alla nostra possibilità di scelta.
Dunque, compreremo -sogneremo- sicuramente qualcosa di cammello, qualcosa di pelle, qualcosa di color “cabernet”, qualcosa di vigogna, qualcosa di blu polveroso.
Ci faremo attrarre dal tessuto double, dal fascino delle paillettes, dalla magia del grigio acciaio, antracite o alluminio.
Non ci sottrarremo al richiamo di una cintura altissima o, al contrario, sottile sottile, a più giri intorno alla vita e di un “pezzo” dal sapore militare.
Ci innamoreremo di una gonna, età permettendo, un po’ corta, a pieghe e magari di velluto, così come di un paio di stivali chiari, preferibilmente scamosciati o di una scarpa vertiginosamente alta.
Un immancabile piumino, oramai considerato un classico, sarà, rinnovato nelle forme, nostro compagno quotidiano. Meno gonfio, più leggero. Meno tecnico, più couture.
Meno cose, maggior qualità.
Meno fronzoli, maggior cura.
Impariamo ad osservare -ad osservarci- criticamente e a coltivare il nostro gusto “educandoci al bello” ma, nel frattempo, non disdegniamo snobisticamente il lavoro di chi, per accontentare la volubilità dei nostri desideri, interpreta e reinterpreta ad ogni stagione molteplici e variegate idee. A volte occorre fidarsi e, di conseguenza, affidarsi, semplicemente.
Affermava Bruno Munari:
Quando qualcuno dice “Questo lo so fare anch’io” vuol dire che lo saprebbe “rifare”, altrimenti lo avrebbe già fatto prima.