Alle origini della moda italiana: God bless America
Senso della bellezza, creatività, cultura, abilità artigianale… sono alcuni degli ingredienti della “magica” ricetta che ha prodotto il miracolo della moda italiana. Ma qual è stato il fattore più decisivo nella genesi di questo mito? La risposta è: gli Stati Uniti d’America. E’ la tesi contenuta nel libro dell’inglese Nicola White, che è stata docente e capo di dipartimento alla Central Saint Saint Martins di Londra, recentemente pubblicato in Italia da Deleyva Editore col titolo “Ricostruire la moda italiana. Il ruolo chiave degli Stati Uniti d’America nello sviluppo del sistema industriale del Made in Italy” (curato da Alessia Paola Roberta Rinaldi).
L’analisi dell’autrice parte dalla constatazione che il nostro settore tessile fu l’unica industria passata quasi indenne attraverso la guerra, divenendo poi il principale beneficiario del piano Marshall per la ricostruzione post-bellica.
L’approccio alle nuove metodologie di produzione in serie, il contributo di tecnologie d’avanguardia, l’apertura del grande mercato a stelle e strisce ebbero un ruolo cardine nel favorire lo sviluppo della moda made in Italy. Gli Stati Uniti, in effetti, orientarono il gusto del pubblico verso la ricerca di uno stile elegante e al tempo stesso misurato, lontano dalle formalità dell’altezzosa couture francese; intanto l’alta moda italiana veniva scoperta da riviste come “Vogue” che la resero una leggenda rappresentando gli ideali dell’italianità nell’immaginario collettivo dei consumatori d’oltreoceano. L’Italia, a sua volta, forgiava la propria forma mentis sognando il mito di Hollywood soprattutto attraverso la grafica di celebri illustratori come Gino Boccasile che, ispirandosi a Rita Hayworth ed altre splendide dive del cinema internazionale, aveva elaborato nuovi canoni femminili.
Secondo Nicola White, che ricordiamo anche come autrice del volume “Giorgio Armani” (Carlton Books, 2000), lo stile italiano costruì la propria identità come espressione della domanda di mercato della classe media americana. Le nostre collezioni di boutique sartoriali, i tessuti, la maglieria, la pelletteria, l’abbigliamento sportivo, l’alta moda, da Emilio Pucci alle Sorelle Fontana, da Germana Marucelli a Roberta di Camerino, da Ferragamo a Max Mara, seppero interpretare lo stile di vita casual americano inventando il prêt–à–porter di alta gamma, e così permisero il boom della nostra moda facendo dell’Italia la meta preferita di un viaggio sentimentale nella terra del buon gusto, dell’arte, della cultura, del bel vivere.
In questo modo, l’Italia poté capitalizzare la fama conquistata a livello planetario. Ci avrebbe pensato poi la grande sfilata organizzata da Giovanni Battista Giorgini a Firenze, nel giorno di grazia 12 Febbraio 1951, a decretare la nascita ufficiale del fashion system tricolore, svincolandolo dalla sudditanza psicologica, prima ancora che materiale, di Parigi.
Ma, per scendere più a fondo nella disamina, quale fu la vera novità italiana agli occhi del mondo? Suonerà un po’ strano oggi, ma il quid fu il cambiamento di visuale, unito al coraggio e alla capacità di guardare lontano, senza dimenticare da dove si veniva… doti che forse oggi difettano nel nostro Paese. Teniamolo presente: il progetto dell’abbigliamento – antico come l’uomo – ha sempre raccontato molto di se stessi, di come si è o si vuole apparire; in particolare ha saputo narrare di un’Italia figlia di un gusto collettivo tramandatoci da una storia che ci pervade e ci plasma, “costringendoci” a creare sempre cose belle e raffinate. Siamo fatti così…
Concludiamo con le parole di Nicola White: “All’inizio di un nuovo millennio, in un’epoca in cui le nazioni stanno lottando per conservare e sviluppare la loro identità culturale, è importante che le radici della moda italiana (un settore che ora è un’icona rappresentativa di identità nazionale italiana) siano infine adeguatamente riconosciute e comprese”. Ma noi siamo tutti consapevoli dell’enorme patrimonio di cui disponiamo e del reale significato di made In Italy?