Altaroma gennaio 2019-Formazione: Accademia di Belle Arti di Roma
Abbiamo proprio goduto durante la presentazione del lavoro, ad Altaroma gennaio 2019 per la sezione Formazione, degli i studenti del secondo anno del corso di primo livello di Culture e tecnologie della moda dell’Accademia di Belle Arti di Roma. Si è trattato della sfilata di 11 micro collezioni interamente progettate e realizzate dagli studenti che compongono il Corea Project a cura di Alberto Moretti e Sara Chiarugi.
Progetto che nasce da una collaborazione con l’Ambasciata della Repubblica di Corea, l’Istituto Culturale Coreano e l’Hanbok Advancement Center. L’idea del programma è partito da un workshop presso l’Istituto Culturale Coreano, protagonisti gli studenti, per lo studio dell’ hanbok, l’abito tradizionale coreano e delle varie tecniche di lavorazione del tessuto, fino anche ad arrivare a cogliere i significati racchiusi in alcuni segni espressivi, ad esempio nei colori utilizzati nella cultura coreana.
Proprio questo è da ammirare.
Finalmente una scuola di moda che si è sforzata di indirizzare gli alunni non verso creazioni improbabili, puro esercizio di stravagante immaginazione che cerca il nuovo senza nessuna aderenza alla realtà e con biasimo per la tradizione.
Qui siamo di fronte alla stimolo di studio: ci si accosta ad un paese diverso, la Corea, per conoscere le tecniche di lavorazione dei loro tessuti, si approfondiscono le tradizioni di una cultura lontana dalla nostra che si esprime anche in una forma di abito, l’ Hanbok. 5000 anni di storia del Paese sono attraversati da questo abito che ha mantenuto le sue componenti di base, pur se le forme e gli stili si sono evoluti con l’evolversi degli stili di vita, le condizioni sociali e il gusto estetico della società coreana. Si torna alla quotidianità e i nostri studenti sono stimolati a cimentarsi a innestare la propria cultura occidentale e la propria visione personale e moderna del fare moda su quanto hanno appreso nel loro “viaggio” di studio.
Il risultato è ottimo: c’è buon gusto, c’è cultura, c’è sostanza.
Non si può negare la forte ispirazione delle collezioni a partire dalle tradizioni coreane, ma gli studenti hanno presentato qualcosa di molto interessante; buona sintesi di tradizione e modernità, buona trasformazione, salvo alcune eccezioni, di un modello elegante,“sontuoso”, rasserenante nella sua staticità -segno di una cultura riflessiva, che non ha fretta, che guarda quindi più all’essere che al fare-, in abiti portabili nel nostro mondo e modo di vivere accelerato. Pensiamo che siano capi che non offenderanno in assoluto la sensibilità orientale, anche perché la collaborazione con entità coreane è stato stretta e il lavoro degli studenti è stato premiato proprio dall’ambasciatore coreano con le seguenti motivazioni: Migliore designer tessile, Migliore stile moderno, Migliore reinterpretazione, Migliore disegno futuristico. Nel lavoro degli studenti si legge perfettamente la delicatezza mantenuta ad accostarsi a una cultura e a forme diverse delle proprie senza stravolgerne il senso; l’amore e la cura con cui hanno lavorato, senza sminuire il significato ancestrale che l’hanbok racchiude.
Con ciò stiamo dicendo che sono già bravissimi e saranno sicuramente coloro che sostituiranno i grandi designer italiani di oggi? No, perché sicuramente il risultato è frutto anche, e in modo importante, di un accompagnamento forte ma rispettoso di ogni loro scelta da parte dei professori dell’accademia; a cui va il nostro plauso.
Infine è necessario segnalare la performans della stilista coreana Young Ae Lee che ha presentato dieci abiti tradizionali e undici abiti tradizionali reinterpretati in chiave moderna. Bellissimi!, hanno aiutato il pubblico a giudicare rettamente il confronto con le collezioni degli studenti.
Impossibile dedicare spazio a tutti gli studenti anche nella galleria fotografica. Almeno vogliamo riportare quello che loro stessi hanno consegnato al comunicato stampa e che evidentemente racchiude il significato del loro lavoro.
Alessandro Vulcano – SINCRASI
In linguistica, la contrazione di due elementi in uno: da una parte l’Occidente tutto e dall’altra il mondo Koreano contratti in una fusione di materiali discordi: dalla seta al nylon, dal cotone alla vernice. Le forme dell’Hanbok si scontrano con quelle tipiche dell’abbigliamento occidentale, per una donna in punta di piedi, che oscilla tra due mondi.
Rita Guardabascio – TRINCEA
Degli esili uccelli volano intorno a una tigre inferocita che tenta di attaccarli. Questa antica rappresentazione coreana, simbolo di forza, si declina in un incontro-scontro tra la delicatezza della seta impalpabile degli uccelli ricamati e la forza del cotone grezzo su cui irrompe una texture tigrata rossa. La biancheria diventa protagonista insieme al trench, storicamente cappotto occidentale da trincea, che viene rivisitato ispirandosi alla foggia ampia dell’hanbok. In un gioco di sovrapposizioni, le forme restano tuttavia rigorose e quasi militari su una donna androgina.
Aurora Promutico – OXYMORON
Un viaggio a metà tra due culture diverse che si fondono insieme quasi per contrasto, cercando di far sopravvivere un’anima delicata e leggera nonostante la pesantezza dei tessuti e delle sovrapposizioni che la sovrastano.
Andrea Mugavero – CHECKMATE
Il richiamo al gioco di origine asiatica degli scacchi nella sua più emblematica mossa ma anche alla simmetria, alla semplicità e eleganza insieme. Il patchwork coreano e la stampa a scacchi sono utilizzati come trait d’union tra il mondo Occidentale e la Corea Del Sud, in una fusione di tessuti, dove il crêpe viene visto come segno di contaminazione della tradizione, riaffermata dalla raffinatezza dei fiocchi dell’Hanbok. Questo gioco di contrappunti tra Asia e Occidente porta a forti richiami verso una donna elegante ma allo stesso tempo forte ed eccentrica.
Giulia Fastellini – SYNTHESIS
Sintesi e occidentalizzazione di volumi e forme dell’Hanbok, attraverso una grafica che rimanda al patchwork e ai disegni coreani sia nelle linee precise che nei colori tenui, con elementi bianchi che riprendono nella tradizione l’idea e il loro pensiero sulla purezza d’animo e la spiritualità. Il tutto combinato in una silhouette morbida dalle curve dolci.
Domitilla Damiani – FERITA
Nell’uso tradizionale del vestire coreano vengono adoperate, come indumento intimo, delle bende; qui interpretate sia nel senso di fasciatura di ferita ma anche di protezione del corpo sano. Protezione di una ferita, ma anche forza, possibilità di ferire. Benda fragile, sottile, che però ripetendosi e avvolgendosi diventa forza. Ancora una volta la ferita è evocata dalle irregolari impunture sulla seta imbottita, che ricordano i punti di sutura sulla pelle, questa volta non coperte. La forza è mostrare le nostre ferite.
Guo Huimin – INTEGRAZIONE
L’idea di partenza è quella di rendere contemporaneo il costume tradizionale coreano. Nella collezione alcuni elementi fondamentali dell’hanbok, come le maniche larghe, il busto corto, sono declinati secondo forme nuove. Se i colori riprendono quelli più comuni del costume coreano, i tessuti scelti sono contemporanei, per dare a questo una nuova forma.
Federica Bettelli – INTO THE WILD
L’espressione già si riferisce ad un tipo di abbigliamento tecnico e funzionale: piumini che coprono il corpo dal freddo, pantaloni che si annodano per essere chiusi e giacche a vento. Una rielaborazione dell’abito tradizionale coreano da un punto di vista più funzionale e occidentalizzato dato anche dall’utilizzo di tessuti tecnici come il nylon. Le texture rimandano direttamente alla cultura tradizionale coreana: il patchwork e il bojagi da cui è ispirata la texture con la foglia oro. A completare gli outfit scarpe da trekking e galosce.
Lucrezia Matola – RADICI
Nell’abito tradizionale coreano ogni colore ha un significato ben preciso, un flusso di energia che invade ed eleva ogni abito. Il colore verde è legato alla terra mentre il rosso al fuoco. Le radici della tradizione sono piantate nella terra ed il fuoco, che è simbolo di trasformazione, influisce sulla materia e la modifica. Fili e fibre, che come elementi della natura si piantano nel terreno, si intrecciano e si snodano, in una metamorfosi che segue il corpo ed i suoi movimenti.
Leonardo Ferri – ONIRICA
La collezione presenta una fusione di fogge, tipici costumi occidentali provenienti dal passato, ed orientali, arrivati a noi da terre lontane, creando l’atmosfera di un posto popolato da creature di dubbia natura ed eterea bellezza, come solo le si può trovare nelle illustrazioni dei libri di favole. Indumenti corti, voluminosi, bianchi e trasparenti con la finalità non di coprire ma di adornare le esili e sinuose figure, la cui misticità è accentuata da fastosi accessori.
Susanna Picchiami – CON-TEMPO
Sporco e logoro, è l’uomo che gira per la città. Il suo lavoro si intreccia con la vita, creando segni profondi come solchi. Sono abiti che invecchiano come uomini, che in origine erano filosofi vestiti di bianco. Un bianco che vive e muore.