Anni ’60. Il mondo è dei giovani. La moda? on the road!
Gli anni ’60 sono stati anni rivoluzionari; anni di contestazioni e rivendicazioni, di turbolenze e scontri generazionali, anni di rotture e di rinnovamenti, di sconvolgimenti e di traguardi raggiunti. Ognuno, nella propria sfera di interesse, rivendicava una sola necessità: il mutamento. Le donne rivendicavano i loro diritti contro una società maschilista, le minoranze razziali chiedevano rispetto umano e integrazione, i lavoratori dignità di trattamento umano ed economico; i giovani, sostenevano ideali di pacifismo e non violenza, di democrazia e tolleranza.
Venne introdotto l’uso della pillola anticoncezionale che rivoluzionò radicalmente l’approccio alla sfera sessuale; l’avvento della televisione rappresentò la prima finestra sul mondo in grado di generare influenze su usi, consuetudini e costumi e far prosperare una cultura massificata e trasversale. Questo clima di stravolgimenti influenzò radicalmente l’arte; e la moda – indiscutibile forma d’arte- conobbe un passaggio epocale. Non fu più solo appannaggio dei grandi stilisti e relegata all’haute couture, ma prendeva il via anche dai giovani, che la utilizzavano così per esprimere le loro rivoluzioni.
Le nuove generazioni divennero forze propulsive dei cambi e le città in cui i mutamenti in atto emersero in modo più evidente furono la Londra di Mary Quant, di Biba e dei Beatles, e la californiana San Francisco, in cui nacque e da cui si propagò a macchia d’olio il movimento Hippie. Tutto questo brulicare, questo ribollio, questo bisogno di rinascita influenzò anche i grandi couturier, che ispirati dai mutamenti politici e sociali dell’epoca, utilizzarono, nell’ approccio alle proprie creazioni, quanto osservavano nel mondo dei giovani.
Di grande impatto fu il primo volo di un uomo nello spazio nel 1961, dal quale nacque l’ispirazione per una moda spaziale. E cosi lo stilista Pierre Cardin, esordiente nell’Haute couture nel 1953, divenne pioniere del pret-a-porter nel 1959, e poi nel 1964 stilista d’avanguardia con la presentazione di una collezione intitolata “Era spaziale”, fatta di abiti futuristici e composta da total look bianchi con geometrie argentee e nere, tuniche di vinile e stivali lunari.
In quegli anni emerge anche il suo collega Yves Saint Laurent, dal piglio modernista e dalla sensibilità aperta ai temi sociali; per la collezione del 1965, fatta di tessuti stampati ad effetto tridimensionale, cerchi, zig zag ed elementi modernisti, prese ispirazione dal pittore olandese Piet Mondrian. Ma fece ben di più! dopo aver lasciato la maison di Dior, aprì nel 1966 una sua boutique di prêt-à–porter, “Saint Laurent Rive Gauche” e lanciò una linea di pantaloni da donna per l’abbigliamento da città. Beninteso, i pantaloni da donna esordirono negli anni trenta con il look alla garçonne usato da dive del calibro di Greta Garbo e Marlene Dietrich; in quel periodo tuttavia, erano concepiti perlopiù come indumento da tempo libero o da lavoro. Fu il francese Courréges, che propose in un défilé nel 1964 il tailleur da sera e fu proprio da quel momento in poi che i pantaloni entrarono gradatamente nell’ alveo della divisa per tutti i giorni e il tailleur pantalone si istallò definitivamente nei guardaroba femminili.
Anche il marchese Emilio Pucci e l’americano Ken Scott furono grandi protagonisti di quegli anni. Il primo con i suoi abiti dalle linee semplici contrastati dalle fantasie vivaci e colorate, il secondo, anche lui dallo stile inconfondibile, con le stampe del tessuto ispirate all’ arte della floricoltura: papaveri e peonie, girasoli, rose e margherite, tulipani e petunie, fiorivano su abiti, camicie, bikini e chemisier.
Protagonisti assoluti di questo periodo furono le nuove generazioni e le loro mode on the road, da Parigi a Londra, da Londra in San Francisco. A Londra imperavano due giovani donne Mary Quant e Barbara Hulanicki.
La prima, figlia di due professori universitari, aprì la sua boutique a King’s Road e nel 1964 lanciò l’indumento che in assoluto creò più stupore, scompiglio e divergenze di opinioni nella storia della moda: la minigonna. Per la prima volta le gambe femminili restavano totalmente scoperte, e fu un successo sconvolgente tanto che dopo solo un anno la giovane Quant venne ricevuta a Buckingham Palace per ricevere l’ onorificenza per il suo contributo nel mondo della moda. La ragazza ovviamente, si presentò a Palazzo in minigonna.
L’altra, Barbara Hulanicki, proprietaria di Biba, famosissima boutique londinese, lanciò un diverso modo di fare boutique, non più luogo dello stilista, ma punto di incontro delle nuove generazioni e bazar in grado di coprire la necessità di un total look a prezzi accessibili e con indumenti provenienti da tutto il mondo. Da Biba si poteva trovare vintage anni venti, trenta, quaranta e cinquanta oltre a colori, musica e personale giovane e friendly. Nacque in quella boutique il fenomeno dell’usato chic.
Oltre alle due ragazze, dettavano moda a suon di musica i Beatles. Il loro look ricordava quello dei “mod”, i modernisti, i giovani che appartenevano a una subcultura che adottava un preciso stile: capelli corti e ben ordinati, camicia e bianca o a quadretti inamidata, parka con il logo identificativo del movimento – il simbolo della Royal Air Force-, mocassini griffati possibilmente italiani e per farsi notare ancora di più una lambretta o vespa italiana. Nel frattempo in California irrompeva la moda Hippy, uomini con capelli lunghi perché la bellezza non si taglia, abiti dai colori sgargianti, dai dettagli vezzosi e stridenti, ragazze coloratissime nelle loro mise liberatorie, il corpo dipinto e adornato di collane multietniche. Uno stile che attinge a tutte le epoche e a tutti i paesi, fantasie Paisley mischiate ai fiori, etnico ad occidentale, moderno ad antico, e poi i colori, tanti, quasi un arcobaleno.
Gli anni sessanta? l’epoca del “di tutto un po’”