Apocalittici o integrati? Tutti i canali della moda
“Il rapporto tra moda e digitale può essere paragonato ad un romanzo di Jane Austen”, ha scritto la docente bocconiana Erica Corbellini (SDA Professor of Strategic and Entrepreneurial Management), intendendo che si tratta di una liaison in cui gli eventuali partner all’inizio si snobbano, poi cominciano una schermaglia amorosa, infine convolano a giuste nozze. Non a caso il suo articolo si intitolava “La moda omnichannel, tra orgoglio e pregiudizio” (ideas.sdabocconi.it/strategy).
La moda in passato è stata molto orgogliosa, ma negli ultimi anni le maison sono passate dai siti vetrina “coming soon” alla passione per l’omnichannel, dalla venerazione della carta stampata all’entusiasmo per le blogger, dalla diffidenza nei confronti dei social media allo sdoganamento del crowdsourcing.
Un recente studio di Altagamma in collaborazione con McKinsey ha messo in evidenza che le vendite online dei prodotti di lusso personali pesano per il 6% del totale e nel 2015 toccheranno quota 70 miliardi di euro, pari al 18% dei consumi complessivi.
In sostanza, le aziende hanno compreso che il digitale ha ormai acquisito una forte “fisicità”, come dimostrano i tanti consumatori che effettuano ricerche online e poi comprano offline (effetto ROPO: Research Online Purchase Offline) oppure entrano materialmente in negozio a vedere da vicino e/o provare un capo di abbigliamento per poi cercarlo al prezzo più conveniente in internet (effetto ROPO rovesciato: Research Offline Purchase Online), innescando il cosiddetto showrooming, ovvero quel fenomeno per cui un cliente si reca in negozio per tastare/testare un prodotto, ma poi lo acquista sul web.
Il nuovo refrain nel mondo del lusso è quindi diventato “omnichannel”, che prevede l’integrazione tra il negozio fisico e l’e-commerce con un approccio a 360 gradi al centro del quale è posto il cliente. Tuttavia si deve tenere presente che non è affatto semplice veicolare la sfera valoriale di un brand attraverso tutti i touchpoint, in quanto ciò implica un ripensamento dell’intera organizzazione, con l’introduzione di nuovi ruoli di coordinamento strategico come il Chief Digital Officer. Inoltre, bisogna considerare che i negozi online patiscono alcuni limiti oggettivi, a cominciare dal fatto che molteplici marchi hanno affidato la gestione del loro sito e-commerce a partner e-tailer come Yoox: così, se da un lato possono beneficiare di una notevole efficienza, dall’altro devono scontare una certa standardizzazione dei processi (in effetti solo il front-end è personalizzato).
Nel digitale, poi, spesso viene a mancare la coerenza tra il posizionamento retail e quello nel wholesale: la questione non è soltanto come il prodotto appare e viene venduto nel proprio sito, ma come è presente su eBay, su Zalando, su altri siti di aste online… ovvero luoghi più facilmente accessibili per tutti rispetto al canale fisico. Invece, sul web l’utente è spesso il medesimo e, comunque, ha la possibilità di vedere e confrontare le molteplici strategie del marchio, con tutte le loro incoerenze.
Pertanto i grandi marchi, se vogliono essere veramente omnichannel, devono riflettere sulle sfide da fronteggiare, in particolare il ripensamento della loro supply chain per fornire ai clienti-utenti un’esperienza totale. Se Burberry resta il pioniere indiscusso orientandosi sempre più verso il social commerce, sono i brand d’oltreoceano ad avere implementato le best practices che fanno scuola: ad esempio, Coach permette di prenotare i prodotti acquistati online direttamente nel negozio più vicino a casa, mentre Tory Burch ha lanciato la Tory Daily App per l’integrazione di contenuti e-commerce, e Ralph Lauren vanta un’eccellente indicizzazione in alcune categorie merceologiche chiave.
Infine, – come rileva la prof.ssa Corbellini – “il problema per creare un’esperienza virtuale che abbia lo stesso engagement di quella nel negozio fisico è che finora sul web i consumatori hanno premiato soprattutto la usability: i motivi per cui la maggior parte degli utenti apprezza un sito è che risulta semplice e familiare. In altre parole, sembrerebbe che più i siti nella stessa categoria di riferimento sono simili, meglio è”. Dunque occorre riflettere attentamente su cosa si vende e su come si comunicano i contenuti di ciò che si vende attraverso il sito, ricordando sempre che “online come offline content is king”.
In conclusione, l’e-commerce oggi rappresenta un segmento in grande crescita per il settore, per cui la sfida più importante consiste nel riuscire a sviluppare una gestione integrata di tutti i canali e touchpoint, online e offline, con il cliente finale… per un “matrimonio” che sia prospero e duraturo.