ARMANI – CAVALLI: quando in campo scendono i duri
Due simboli della moda italiana trionfante nel mondo, con due personalità, due stili e due strategie aziendali antitetiche. Entrambi maturi (80 anni contro 74), il piacentino Giorgio Armani e il fiorentino Roberto Cavalli: una “forza tranquilla” l’uno, un libeccio impetuoso l’altro; lineare e adamantino quello, ipertrofico e barocco questo; deciso a restare ad oltranza in sella alla sua azienda il primo, disposto a vendere il secondo.
Due mondi paralleli destinati forse a non convergere mai, come hanno certificato anche le ultime passerelle milanesi P/E 2015.
Le modelle di Re Giorgio sembravano brezze marine, lievi e fruscianti, oppure gocce di pioggia nel Sahara, balsamiche e rinfrescanti, o ancora petali di tea cadenti con grazia, con i loro corpi liquidi tesi ad animare capi declinati nei toni polverosi del deserto e in quelli tenuissimi del cielo aurorale… destinato poi ad esplodere nel blu meridiano che si specchia nel Mare Nostrum. A imperare comunque è stato sempre il greige, cifra cromatica della maison, che in contrappunto armonico evoca i colori incandescenti dei lidi tirrenici cari agli dei, come ha ben sottolineato l’assolato cortometraggio di Paolo Sorrentino girato tra Lipari e Stromboli, trasmesso all’inizio della sfilata.
E’ una collezione di sostanza questa, lungi da un lusso solo apparente, caratterizzata da un lavoro sartoriale eccelso, che denota la voglia di tornare alla femminilità classica all’insegna del relax: oltre ai colori “archeologici”, lo rivelano le gonne ampie e trasparenti, i morbidi pantaloni alla turca, le tuniche impreziosite da ricami, i capispalla scolpiti, i tessuti da sera soffici e sussurranti, tendenti al drappeggio, sofisticati e radiosi di preziosità. Tra gli accessori spiccano i sandali piatti a doppia fascia e le altrettanto confortevoli babbucce di rettile, bauletti e secchielli di pelle, ma soprattutto preziose pochette e vistosi bijoux maghrebini.
Lo stesso Armani, commentando quest’ultima “fatica” stilistica, ha confidato che l’input creativo gli è stato offerto da una linea concepita vent’anni prima, ispirata alla “moglie di un archeologo che andasse sul campo di lavoro, tra gli scavi del marito”.
A fronte delle periodiche “avances” che subisce da parte di potenziali acquirenti del gruppo, King George ha confessato nel backstage di non avere le idee chiare sul ricambio generazionale: “Dell’asse ereditario fanno parte la mia piccola famiglia e le persone che lavorano con me da anni. Quindi rimarrà sempre un gruppo molto familiare, anche se nel dopo-Armani bisognerà identificare un leader, che deve essere una persona, e non un fondo di investimento. Questo è il mio problema: a volte magari sbaglio, ma quando dico sì è sì, quando dico no è no”.
Roberto Cavalli, invece, è ben determinato e vicinissimo – si vocifera in ambienti bene informati – a perfezionare l’accordo di cessione della maggioranza della sua maison fondata negli anni ’60. La controparte sarebbe rappresentata dai Russi di VTB Capital, braccio operativo di una banca controllata al 60% dal Cremlino. Pare che la valutazione dell’azienda sia di circa 500 milioni di euro. Niente male! Sulla vicenda, però, al momento pesa la nube minacciosa delle sanzioni occidentali contro Mosca per i noti eventi ucraini.
Intanto, focalizziamo l’attenzione, correndo il rischio dell’abbaglio per cotanta opulenza, sulla coloratissima collezione per la primavera/estate 2015, che è apparsa come una sorta di antologica dello stilista fiorentino, costellata di auto-citazioni, ma lontana da una fiacca auto-referenzialità celebrativa; piuttosto, contrassegnata da un’insolita dolcezza che ha spinto il suo artifex a ripescare dal guardaroba i pezzi più fantasiosi, ma solidamente strutturati; aerei e anticonformisti, ma ad alto tasso sartoriale; virati su tinte potenti, su stampe e grafismi psichedelici da rock-star di sapore dark, ma con una spiccata sensibilità per la qualità autentica del made in Italy.
Si è confermato quindi il Roberto Cavalli di sempre, capace tanto di rendere sensuale il più classico long dress nero con un’abissale scollatura, quanto di reinterpretare originalmente lo stile “flower power” e le più tradizionali suggestioni gitano-chic. Ma il “vero” Cavalli è anche e soprattutto quello che sa “giocare” come nessuno con l’animalier (sempre a rischio trash se impostato male), trasformandolo in abiti da sera di sorprendente eleganza, e che sa compiere prodigi con la pelle, i ricami, gli strass, le applicazioni in generale.
A Milano, in definitiva, si è visto uno stilista in versione più poetica e sognante, indugiante in plissé, forme svasate e fluide, materiali ricercati con cura, tavolozza pittorica satura. Ha colpito il pubblico (a cominciare dagli addetti ai lavori) la messa al bando dei tacchi alti a favore di più comode zeppe in legno. Tra i complementi, hanno fatto capolino pure le borsettine senza manici rivestite di pelliccia (in estate?), nonché i mega-occhiali da sole dai contorni arrotondati.
Un Cavalli meno “vamp”, dunque, più consapevole e raffinato forse. Dalla Russia con amore?