Beccaria, Gregis e Cividini: una semplicità sofisticata
Romanticismo imperante e abiti celestiali per Luisa Beccaria, fascino delicato con imprinting bucolico e sofisticatamente rustico per Daniela Gregis, e sofisticazioni semplici per Cividini che racconta in parte le emozioni suscitate dal film: “Il tè nel deserto”.
Intensità, romanticismo, e un nutrito substrato emozionale legano le tre differenti proposte.
Luisa Beccaria
Un parco assolato, testimone solerte di giochi gioiosi e di corse in giardino scandite dal vento, dei pensieri incalzanti di una giocatrice di volano che sfida la quotidianità a una partita di eleganza, tra bianchi tessuti scottati dal sole e profumo di fresche note fiorite: questo il panorama emozionale creato da Luisa Beccaria come sfondo della collezione P/E 2020 presentata a Milano, durante la Settimana della Moda di settembre 2019.
Una proposta fatta di capi dalle linee fluide, celestiali, dalla femminilità elegante e sussurrata, fatta di mise che accompagnano dolcemente le linee del corpo e gli donano un’allure morbida e flessuosa.
Delineano la collezione silhouette sottili dalla linea ad “A”, pantaloni morbidi combinati con bluse dalle maniche a tre quarti e tasche applicate; abiti con gonne dalle linee pulite, talvolta ritmate da balze, arricciature o plissé, dalla schiena scoperta e dal busto castigato. Leggeri grembiuli in sangallo con gonna asimmetrica e chemisier in pizzo con maniche dai volumi ampli; colli tondi o americani definiscono poi la cifra stilistica della casa di moda, conferendo all’intera collezione una eleganza sofisticata e leggermente retrò. La purezza della luce solare e il suo dialogo con la natura ispirano la palette cromatica fatta di numerose sfumature di bianco: dal bianco puro al bianco panna, dal crema all’ecrù. Accanto a tanto candore spuntano poi, come fiori profumati su un tappeto erboso, tripudi di fiordaliso, di azzurro polvere, gradazioni di carta da zucchero, di blu e di rosa.
I tessuti, pregiati, sono la fibra di cotone, il lino, l’organza, il fil coupé, il pizzo e il sangallo. Le lunghezze sono mini, ma anche al polpaccio a caviglia, e maxi.
Un day–mod h24 che si conferma per le scarpe, con morbide slippers nate in collaborazione con Vibi, oppure con tacchi e profondamente scollate, rigorosamente nei tessuti di stagione.
Daniela Gregis
Un mondo favoleggiante e agreste, quello presentato –con la collezione P/E 2020– da Daniela Gregis nel chiostro dell’Oratorio della Passione lo scorso 20 settembre in occasione della settimana della moda meneghina. Un girotondo di meraviglie fatto di capi giocosi al sapore di frutta e bacche selvatiche, fatto di abiti che rilasciano il profumo leggero della fanciullezza, dei giochi e delle fiabe; di succhi proibiti, di margherite e alberi di fichi.
La collezione è ispirata al lavoro gregario delle api, alla loro meticolosità e costanza, alla loro pazienza e al loro vigore. Il frutto di tanto operare è il miele, l’oro liquido. Il nettare generoso e calmante, disinfettante e rinvigorente. Dall’ arnia sgorgano tesori, tutti i colori dei fiori si traducono in miele: è il racconto del buono delle piante. Gli abiti, ispirati al lavoro delle api, sono casa, come un favo d’infinite tasche.
Linee semplici pulite e accoglienti nel loro sofisticato rigore che nella loro espressione disegnano ampi volumi, comodi e confortevoli. I tessuti: sublimi lini, seta e cotone, regalano silhouette morbide e armoniche. I colori sono caldi, avvolgenti, come il miele naturale, il caldo castagno, l’arancio, ma anche le tonalità decise dell’azzurro, del verde sottobosco, del giallo, del blu navy, del blu oltremare, del blu elettrico che tingono la collezione di note allegre e fiorite. Come nella giacca a uovo bluette tempestata di micro fiori combinata con i pantaloni morbidi, ma anche nell’abitino con micro stampa geometrica in bianco e nero con grossi fiori appoggiati sulla gonna in ordine sparso.
Le giacche hanno linee a uovo, destrutturate e leggere sono lunghe al ginocchio o appena sotto il fianco e vengono proposte su ampi abiti, anche in sovrapposizione tra loro o combinate con i pantaloni a caviglia.
Le gonne hanno l’orlo al polpaccio o alla caviglia, come gli abiti dall’aplomb raffinato e disinvolto che sono favolosamente indossati da una principesca Benedetta Barzini.
Una proposta raffinata, quella di Daniela Gregis, rivolta ad un pubblico colto e nutrito nell’anima, non solo da miele.
Cividini
“La forma del colore” è invece il tema scelto da Cividini per la collezione P/E 2020 presentata a Milano lo scorso Fashion Week.
Il colore come mantra, come ripetizione costante e continua, come una declinazione di note su un pentagramma gigante, come un girotondo di coriandoli o una cascata di petali infinita.
Colore che fa riaffiorare emozioni prodotte dai quadri esposti in un museo, dalle opere d’arte di una galleria, dalle immagini riportate sulle pagine dei libri. Colore che rimembra ricordi impressi nella memoria, brandelli di sogni e di realtà, memorie, tracce: di viaggi, di vita, di cose sognate e pensate.
Colori della terra, colori desertici, colori di una primavera in Provenza; colori impressi dalla luce solare tra l’occhio e la palpebra dietro un battito di ciglia, e poi i colori dell’Africa, fotografati da Storaro, i colori del deserto e delle sue genti, ma anche i colori degli abiti dei tre protagonisti del film di Bernardo Bertolucci -Il tè nel deserto– che hanno definito le linee dei capi presentati sulla passerella di Cividini.
Hanno sfilato mise dalle linee pulite, sobrie ed eleganti, fatte di femminili quanto leggeri chemisier portati -quando trasparenti- con sotto micro hot pants.
Abitini e gonne asimmetriche combinate con su camicie sottili dalle fantasie e dai toni delicati, filati raffinati tradotti in raffinata maglieria.
Pantaloni cargo o bermuda presentati con su micro top, e sahariane rivisitate nelle lunghezze o leggeri spolverini. Morbide e sottili le fibre di cotone e seta impiegate nelle confezioni hanno conferito un’allure composta alla collezione.
Originali e divertenti sono parsi poi gli stravaganti cappelli adornati di piccole frange rettangolari disposte ordinatamente sulla superficie, che tanto ricordano -nella forma- la Skufia, il tipico copricapo indossato dagli ecclesiastici ortodossi russi.