Black is beautiful
Preso atto del boom commerciale realizzato negli ultimi anni dalle perle nere di Tahiti, qui cerchiamo di conoscerle più a fondo negli aspetti gemmologici e “leggendari”.
Native delle lagune della Polinesia francese, ancora oggi trovano il loro habitat migliore nelle isole coralline dei Mari del Sud, disseminate nell’Oceano Pacifico tra Australia e America Latina.
Secondo il mito, l’ostrica che le secerne, Te Ufi, è stata donata alla bella principessa di Bora Bora dal dio della pace e della fertilità, chiamato Oro, per conquistarne l’amore; mentre gli spiriti del corallo e della sabbia, Okana e Uaro, hanno adornato l’ostrica stessa di un manto lucente che riflette tutti i colori dell’arcobaleno.
La scienza, che è un po’ meno romantica e poetica della leggenda, ha attribuito a Te Ufi la denominazione di Pinctada Margaritifera, la cui conchiglia nell’Ottocento era molto richiesta dall’industria europea dei bottoni.
In Polinesia si svolgeva un’intensa attività di pesca ad opera di tuffatori locali (fra i quali anche numerose donne) in acque pericolosamente infestate da squali, ad una profondità di circa 30 metri, e di rado si trovavano perle nere naturali di un certo valore: era necessario aprire ben 15.000 ostriche prima di poterne vedere una!
Di conseguenza, fin da allora la perla tahitiana godeva fama di particolare preziosità, esaltata anche dal suo impiego nei monili delle case reali e nobiliari di tutto il mondo, per cui ha meritato l’appellativo di “perla delle regine” e “regina delle perle”.
La più rinomata fra le naturali era costituita dal pezzo centrale di una collana appartenente alla corona russa. Singolare, inoltre, era il rito in voga nella Cina imperiale, dove si simulava il combattimento con un drago per impossessarsi della perla nera, emblema di saggezza, che questo custodiva fra i denti.
Negli anni Sessanta l’eccessivo sfruttamento dei banchi perliferi polinesiani provocò un grave arresto nella fornitura di gemme naturali, che subito si cercò di tamponare introducendo sistemi di coltura alternativi. I primi esperimenti in tal senso furono praticati nella laguna di Bora Bora e già nel 1963 i risultati della raccolta dimostrarono concretamente che non era affatto peregrino scommettere sullo sviluppo del business nella regione oceanica.
Il processo di allevamento di un’ostrica perlifera a labbra nere è piuttosto lungo ed esige cure continue, data la fragilità della specie. In certi periodi dell’anno il mollusco (che vive aggrappato al corallo lagunare) depone delle uova, la cui fertilizzazione avviene poi nell’acqua. Dopo aver galleggiato liberamente per un mese, le ostriche novelle si fissano al corallo o muoiono sepolte nella sabbia. L’allevatore di perle le afferra con un apposito raccoglitore artificiale posto sotto il filo dell’acqua ed in seguito le coltiva sui banchi dei fondali per più di tre anni, durante i quali le ostriche sono seguite con estrema sollecitudine e lavate spesso.
Quando raggiungono la piena maturità, esse sono pronte per l’innesto di un nucleo sferico e del pezzo di manto di un’altra ostrica, in virtù di quel fenomeno che stimola la secrezione di madreperla e l’eventuale formazione di una gemma. Nei due anni successivi, il nucleo si riveste di migliaia di strati di madreperla, oppure viene espulso completamente. Al momento della raccolta, la perla è estratta con la massima cautela e l’ostrica riposta nella laguna.
Anche se il meccanismo descritto appare semplice, la delicatezza di questo mollusco fa sì che, su cento conchiglie riceventi un nucleo, solo trenta riescano a produrre perle, tra cui esclusivamente una o due esemplari perfetti.
Durante il periodo di accrescimento, la formazione della perla può essere influenzata da mutamenti nelle condizioni climatiche ed acquatiche, come cicloni od aumenti della temperatura, i cui effetti si manifestano nell’ottenimento di gemme barocche, semibarocche ed a cerchi.
I primi tentativi per commercializzare le perle coltivate tahitiane trovarono un forte deterrente nella concorrenza delle perle bianche, artificialmente colorate in nero o in grigio. Al riconoscimento internazionale di queste gemme hanno contribuito, poi, il GIA (Gemological Institute of America) e la CIBJO (Confederazione Mondiale della Gioielleria), coniando appunto la denominazione ufficiale di “perla coltivata di Tahiti”.
Nonostante lo strepitoso incremento quantitativo (i 6 chilogrammi esportati nel 1977 sono passati oggi ad alcune migliaia, per un valore di circa 100 milioni di dollari), tali perle continuano a rappresentare una percentuale irrisoria della produzione complessiva.
Una volta raccolte, le gemme vengo risciacquate e classificate in base a cinque criteri fondamentali: grandezza, forma, colore, lucentezza e purezza.
Il loro diametro di norma varia da 8 a 14 millimetri, ma non mancano le eccezioni (il record finora toccato è di 21 mm). Oltre alle rotonde, le più rare e ricercate, sono apprezzate commercialmente anche quelle semirotonde, con leggere imperfezioni alla sfera, e quelle semibarocche, con forme a bottone, ovali, a goccia, a pera ed a cerchi (queste ultime presentano scanalature su oltre un terzo della superficie).
Dal punto di vista cromatico, le perle tahitiane si propongono in infinite sfumature dal grigio al nero: attualmente sono richiestissime in verde pavone, viola melanzana, blu mare e con iridescenza della superficie. In particolare, la loro brillantezza unita alla capacità di riflettere la luce può produrre un effetto simile ad uno specchio.
La qualità delle perle nere coltivate è determinata anche dalla posizione e dal numero di macchie sulla superficie, quali ammaccature, scalfitture e tracce, che decurtano sensibilmente il valore della gemma stessa.
La perla tahitiana è molto desiderata dal pubblico giovane per la sua originalità e per quell’alone di magico mistero e fascino della perfezione che azzeccate iniziative promozionali hanno saputo creare intorno ad essa.
Tuttavia, è estremamente difficoltoso realizzare in massa gioielli con tali gemme, a causa delle loro caratteristiche peculiari, e ciò spiega pure il valore elevato di un semplice filo di perle rotonde in tonalità ben assortite. Sotto il profilo della manifattura, comunque, anelli e pendenti sono molto meno problematici di collane od orecchini.
Le perle nere, inoltre, si armonizzano in maniera eccellente con tutti i metalli preziosi e non sono soggette a particolare logorio: risultano, quindi, gradite anche alla clientela maschile, soprattutto come ciondoli, fermacravatte e gemelli da camicia.
Creata dalla natura ed amata dagli uomini, la gemma tahitiana deve essere protetta con cura dagli agenti acidi e dall’aria eccessivamente secca, ma soprattutto, forse, essere custodita con le “materne” premure che le avrebbe dedicatola la sua Te Ufi.