Blue jeans, da Genova al Mondo: 350 anni di mito
“Blue Jeans – 350 years”: è questo il titolo di una strepitosa mostra che il Centraal Museum di Utrecht (in Olanda) presenta dal 24 Novembre al 10 Marzo 2013 per rendere omaggio ad uno dei capi “giovani” (ma non solo) più amati e indossati in virtù di una straordinaria versatilità. Il percorso espositivo si dipana tra raffinate creazioni di Chanel e proposte decisamente più casual di Levi’s, la giocosità di Jean Paul Gaultier e la sofisticatezza di Yves Saint Laurent. Fu proprio quest’ultimo stilista a definire i jeans un indumento dal “carattere forte”, un concentrato di sensualità e modestia, di vita semplice ed eccessiva allo stesso tempo. La mostra, che comprende anche dipinti d’epoca e installazioni, dedica ampio spazio alla creatività ed alla sperimentazione, ospitando un Blue Jeans Workshop, ossia un laboratorio dove i visitatori possono sbizzarrirsi a disegnare il proprio modello.
Sono passati almeno 150 anni da quando Levi Strass a San Francisco cominciò ad impiegare il tessuto blu per confezionare pantaloni da lavoro, certamente ignorando che quei grezzi calzoni erano destinati a diventare l’icona stessa della contemporaneità ed a conquistare il mondo. In effetti la loro praticità ed “estroversione” li ha portati ad essere usati più che mai sia nella vita quotidiana sia nella moda, prestandosi tanto alle lavorazioni tradizionali quanto ai processi tecnologicamente più avanzati.
Ma quando vennero inventati davvero i jeans? E da chi? La risposta ci è arrivata solo di recente dal mondo dell’arte, a seguito della riscoperta di un anonimo pittore seicentesco attivo in Lombardia e Veneto, soprannominato “Master of the Blue Jeans”. Autore del rinvenimento è stato Maurizio Canesso, noto antiquario di Parigi, che nel 2004 acquistò ad un’asta newyorkese un quadro del Maestro dei Blue Jeans, di cui aveva individuato una copia anche in Italia nel Varesotto. Il gallerista riuscì ad aggiudicarsi altre tele del medesimo artista, decidendo poi di organizzare una mostra ad hoc. Fu così che alla Biennale degli Antiquari di Parigi del 2010 la Gallerie Canesso (proprietaria di ben sette delle dieci opere in circolazione di tale Maestro) allestì un’esposizione di grande risonanza internazionale interamente dedicata al «Maestro della tela jeans», personaggio del quale tuttora nulla si sa se non che i suoi quadri ritraggono contadini, mendicanti e poveri diavoli vestiti di stracci di colore blu, nella cui trama, composta da fili bianchi, appare la struttura tipica della stoffa genovese, ovvero l’attuale tela di jeans.
Gli storici avevano ipotizzato che il jeans avesse origine o da un tessuto prodotto a Nimes (da cui forse deriva denim), in Francia, o da un fustagno tipico di Genova («Genes» in francese, “Geanes” in inglese, donde jeans), fabbricato in misura minore anche a Milano. Esistevano solo documenti frammentari che potessero attestare le spedizioni di tessuti da Genova verso l’Europa settentrionale e in particolare in Inghilterra a metà del ‘600. Come infatti risulta da precisi resoconti di un sarto d’oltremanica, il tessuto da lui utilizzato proveniva proprio da Genova. Se ne deduce che già nel XVII secolo in Italia si portavano i jeans ed erano soprattutto le classi proletarie ad indossarli, dal momento che il tessuto era particolarmente robusto e resistente. Altro che “gioventù bruciata” o “easy driver”, quindi: i jeans poco avevano da spartire con lo spirito dell’avventura a stelle e strisce e molto con la fatica dei mestieri più umili!
All’odierna mostra del Centraal Museum in Olanda non poteva mancare qualche dipinto del Maestro dei Blue Jeans, a cui si aggiungono altre “chicche” per gli appassionati d’arte, come le statue settecentesche che raffigurano un uomo ed un ragazzo con i pantaloni blu, provenienti dalla collezione Catharijneconvent di Utrecht. Riguardo al «Maestro della tela jeans», possiamo aggiungere qualche particolare in più. Si tratta di un pittore seguace di Caravaggio, interessato alla rappresentazione della realtà e, nella fattispecie, dell’umanità più misera e negletta, osservata sempre con occhio rispettoso della dignità di ciascuno. Questa sensibilità si coglie specialmente nei ritratti dei fanciulli costretti ad elemosinare, vestiti di cenci, spesso dolenti, stanchi, affetti da menomazioni nel corpo e sicuramente nell’animo. I suoi dipinti, per certi aspetti, sono stati accostati talvolta a quelli di sommi artisti come lo spagnolo Diego Velazquez o il francese Georges de La Tour. Nelle sue tele appare costantemente il medesimo tessuto color indaco, cucito con filo bianco, i cui strappi rivelano una tessitura spessa, sia sulle giacche dei contadini che in quelle sbrindellate dei giovani mendicanti, nonché sulle gonne lacere delle donne.