“Bright Star”: riflessione sulla bellezza
Che cos’è la bellezza? Oggi il valore della bellezza non è tenuto molto in considerazione, sembra piuttosto svilito, forse perché se ne notano solo gli aspetti più superficiali e ci si riferisce principalmente alla bellezza corporea . Infatti, viene per lo più interpretata come strumento di successo o anche di potere: gli uomini e le donne che affollano trasmissioni televisive e riviste sembrano voler dimostrare come l’unico mezzo per avere successo sia la bellezza esteriore, senza necessità di attingere, di approfondire e mostrare la personalità di una persona. Se non si è belli, non si è nessuno.
Bisogna riconoscere che alla bellezza corporea è sempre stata associata questa interpretazione, un mezzo per salire nella scala sociale, farsi notare e aver successo. Oggi più che mai si è accentuata anche la tendenza al conformismo e alla superficialità: le figure che balzano davanti agli occhi dei telespettatori sono una uguale all’altra, senza lasciare spazio alla varietà e alla diversità, quando invece la bellezza dovrebbe colpire per la sua unicità. I puristi tendono a disprezzare la bellezza perché la associano alla superficialità e al conformismo, ma ne subiscono il fascino.
Ma la bellezza non è solo esteriorità , è qualcosa di più profondo. Non per niente molti filosofi, come Platone, Kant e Nietzsche, si sono interrogati su di essa e su quale funzione abbia. Forse bisogna considerarla come qualcosa che suscita innanzitutto stupore, ma anche piacere, magari perché è capace di offuscare con la sua presenza le sofferenze e i dolori che la vita riserva; sicuramente genera pace interiore e rasserena l’anima perché è anche ordine e armonia. Può essere in ogni cosa, non solo nell’aspetto esteriore di una donna o di un uomo, in un oggetto, in un paesaggio, in un ricordo, in una persona considerata in tutta la sua integrità… Uno dei versi più famosi del poeta romantico inglese John Keats (1795-1821) recita “Una cosa bella è una gioia eterna”. Forse è questa la vera funzione della bellezza: serbare qualcosa di bello; permette di averlo sempre a portata di mano per potervi ricavare una consolazione quando se ne ha bisogno. Ma Keat va ancora più in profondità cogliendo il nesso classico tra bellezza e verità “la bellezza che è verità, la verità che è bellezza”
La riflessione sulla bellezza è al centro del film “Bright Star” di Jane Campion, uscito nel 2009 ed ispirato alla corrispondenza tra John Keats e l’amata Fanny Brawne, la sua vicina di casa, appassionata di moda. Il film ripercorre la loro intensa ma breve storia amore, stroncata dalla precoce morte di Keats, ma nata proprio dalla ricerca delle bellezza che entrambi portano avanti nelle loro vite, seppure in modo diverso: Keats vuole creare qualcosa di bello attraverso la sua poesia, mentre Fanny disegna e realizza i vestiti che indossa, fermandosi a una bellezza superficiale che però la soddisfa, almeno fino al momento dell’incontro col poeta. Infatti, una volta letto il noto verso di Keats, qualcosa cambia in lei: comincia a rivalutare la poesia, che prima considerava una sciocchezza, e chiede a Keats di darle “lezioni di poesia”, perché si è accorta che i loro processi creativi non sono molto differenti. Sono due artisti, seppure in ambiti diversi, che attraverso le loro opere vogliono ricreare una bellezza perfetta: Keats è uno dei primi poeti a privilegiare l’elemento estetico nei suoi componimenti, mentre Fanny realizza per sé abiti dai colori sgargianti, soprattutto in varie tonalità di rosso e di rosa, molto eleganti e in linea con la moda del tempo. Con l’avvicinarsi della morte di Keats , Fanny comincia a indossare vestiti modestissimi in colori scuri, in particolare nero e marrone. Allo stesso tempo all’inizio del film la si vede immersa nella vita sociale, tra balli e gite all’aperto, mentre man mano che si avvicina a Keats viene colta dall’obiettivo cinematografico in casa sua o dell’amato. La bellezza per Fanny è così importante che, quando si tratta di portare un cestino di dolci in regalo al giovane poeta, non esita a tagliare il nastro arancione dalla veste della sorellina, perché non può consegnare in dono qualcosa che non sia perfetto. Nella cura per i dettagli è maniacale anche per quanto riguarda il proprio abbigliamento: una delle prime discussioni con Keats è incentrata sulla gorgiera che ha realizzato per il suo abito da ballo bianco e delicato come la neve che nessun’altra delle ragazze presenti alla serata ha uguale. Ma i dettagli vezzosi e civettuoli dei suoi abiti, come gorgiere e cappellini di paglia decorati con fiori, ben presto scompaiono dal suo abbigliamento che diventa umile e modesto.
Una delle funzioni che si attribuiscono all’arte è la creazione di qualcosa di bello; anche la realizzazione di vestiti è ormai riconosciuta come una forma artistica, sebbene sia effimera e si presti a fini commerciali, ma per Fanny è solo un modo di essere se stessa. Fanny coglie quindi un’altra delle “funzioni” dell’abito, esprimere l’identità, la personalità di chi lo indossa. Non bisogna dimenticare che anche un film è un’opera d’arte, per quanto anche questa forma artistica sia legata a fini commerciali. Ma non è il caso del lavoro della regista del film Jene Campion, che si sofferma continuamente sulla natura, sfondo alla vicenda e ulteriore spunto per la ricerca della bellezza, anche perché era la principale fonte d’ispirazione per la poesia di Keats. Si susseguono così inquadrature su vasti prati ricoperti da fiori (sulla locandina è raffigurata Fanny intenta a leggere un libro di poesie immersa in un campo di lavanda), su alberi che stanno germogliando con l’arrivo della primavera e su delicati paesaggi innevati, senza dimenticare la colonia di farfalle che Fanny realizza in camera sua quando Keats è in viaggio.
Forse bisognerebbe aprire gli occhi e accorgersi che la bellezza è dappertutto, basta saper cercare. Una persona apprezza la bellezza in una cosa, un’altra in un’altra, questo è vero. Ma la funzione della bellezza è sempre la stessa per ogni persona.