Camicie bianche tra sogni e nuvole
Meraviglie “dentro” una meraviglia, dal 10 marzo al 1 aprile 2015.
Le 27 camicie di Gianfranco Ferré esposte precedentemente nel museo del Tessuto di Prato (http://www.imore.it/rivista/?p=30095) approdano finalmente a Milano, nella sala delle Cariatidi di Palazzo Reale, degno luogo di ugualmente degna bellezza.
Un omaggio atteso a lungo (“un impegno portato a compimento”, come ha sottolineato l’assessore alle Politiche per il Lavoro, Moda e Design Cristina Tajani) che trova la giusta sede per esprimere al meglio la sua “potenza espressiva”.
Contenitore e contenuto. Forma e sostanza. Etica ed estetica.
Quel contesto, quello “stare-insieme” equilibrato in cui ognuno dona qualcosa di sé all’altro.
La mostra sul capo/icona per eccellenza dello stilista -curata da Daniela Degl’Innocenti e organizzata da Palazzo Reale e Fondazione Ferré, con la collaborazione del Museo del Tessuto di Prato- esprime perfettamente l’anima di un artista in cui coesistevano modi diversi e a volte apparentemente lontani di intendere la creatività.
Semplicità-grandiosità.
Attenzione maniacale- fantasia liberamente ispirata.
Immaginazione subliminale- realizzazione concreta.
“Piedi per terra e testa rivolta al cielo” ha in modo commosso ricordato durante la conferenza stampa Rita Airaghi, Direttore della Fondazione Gianfranco Ferré.
Sì, perché “La moda è anche sogno”, come usava dire lo stilista-architetto lombardo amante di tutto ciò che potesse stimolargli la mente.
Ed è ricerca, lavoro, passione, cultura, linguaggio, evocazione, suggestione.
“Disegnava modi di fare le cose e la camicia era un pretesto per fare altro. I suoi erano teoremi sartoriali portati a compimento con straordinaria e involontaria eleganza”.
Queste le sentite parole dell’architetto e amico Franco Raggi.
E qualcosa di indefinibile si percepisce entrando nella sala-cuore di Palazzo Reale, la grande e imponente Sala delle Cariatidi.
È il buio che inizialmente accoglie, dopo aver oltrepassato aerei pannelli di garza su cui scorrono schizzi e disegni autografi di Ferré. Poi gli occhi vengono calamitati da un’esplosione di luce. 27 “fari” abbaglianti moltiplicati da imponenti specchi prendono per sé tutta l’attenzione. 27 camicie, esposte come vere e proprie sculture e messe in modo da sembrare sospese nel vuoto, rivelano, attraverso ogni piega, ogni impuntura, ogni bottone, ogni sfumatura, ogni asola….., l’amore sotteso in ognuna di esse e la cura spesa per la loro realizzazione.
Paiono dame in attesa di essere invitate al ballo -tale era l’uso che questa sala, tra splendori e ferite sofferte, offriva agli ospiti-, alcune rigorosamente severe e dall’aria vagamente sussiegosa, altre più languide e morbidamente poste.
Tutte così candide -nonostante il gioco di luci e ombre ben studiato che a tratti pare modificarne il colore-, tutte così diverse nella loro somiglianza, nel loro “fil rouge” conduttore.
Tutte così maestose e insuperabili.
Tutte così abili nell’evocare rispetto per sé qualora si immaginasse di indossarle (“È giusto mettersi una camicia bianca per un’occasione che si voglia ricordare”, afferma con volitiva determinazione Francesca Alfano Miglietti, Critica d’Arte sostenitrice indefessa del Made in Italy e di quel che di esso dovrebbe essere “esposto” e “visto”).
Tutte così, semplicemente, belle e testimoni del bello.
Procedendo a zig-zag, ci si sofferma per “rubare” un’idea, un tratto, un dettaglio. Si studiano con avidità i nomi così accattivanti e le date di produzione -“Calice”(1982), “Soffio d’aria”(1989), “Scomposta”(1994), “Libellula”(1995), “Origami”(2004)….-. Si arriva in fondo e viene subito voglia di rivederle da un’altra prospettiva, giusto per non perderne il più piccolo nastro, la più insolita foggia. Si curiosa in seguito nelle bacheche poste lateralmente in cui sono racchiusi i vari materiali provenienti dagli Archivi -bozzetti, figurini, fotografie di sfilate o di pubblicità-, si leggono le didascalie esaurientemente descrittive.
Ma….poi, ecco il sogno vero.
È in alto, al centro del soffitto, nell’ovale azzurro che simula un cielo terso.
Nuvole leggere e quasi trasparenti appaiono e passano velocemente grazie a proiezioni fotografiche suggestive (simulazioni indagine rx di Leonardo Salvini) e particolari.
Ma non sono nuvole quelle che tali sembrano! Sono camicie. “Quelle” camicie. Camicie-nuvola, leggerezza resa “palpabile” agli occhi, grazia resa “visibile” all’anima, memoria che si fa materia e al contempo volo onirico.
Difficile non rimanerne colpiti e ammaliati.
Qui, in questo spazio dove in modo biunivoco l’arte architettonica incontra un architetto-artista che ha prestato la sua disciplina ad aspetti alternativi alla disciplina stessa rendendola aperta a mille applicazioni e a mille sfaccettature, si coglie, come in un abbraccio, il senso di trasversalità che le capacità umane sanno rendere possibile quando il genio spiana generosamente la strada a tutto il resto.
LA CAMICIA BIANCA SECONDO ME
GIANFRANCO FERRÉ
Milano, Palazzo Reale
Sala delle Cariatidi
10 marzo – 1 aprile 2015
Catalogo Skira.