Campari fra Impresa, Moda e Arte
Gaspare Campari, novarese del secolo scorso e liquorista. Apre in piazza Duomo la “buvette”nel coperto dei Figini.
Campari inventa elisir, amari, creme alcoliche, come il «Bitter all’uso d’Hollanda» .
Nel 1867 viene inaugurata la galleria che collega Piazza Duomo con Piazza della Scala, viene abbattuto il coperto dei Figini e di conseguenza a Campari spetta un bar in posizione galleria. La sua fortuna.
Al Campari si respirava la storia: era il punto di riferimento per letterati, artisti, musicisti, turisti, borghesi.
Tutta la Milano-bene si incontrava qui a bere Campari con uno spruzzo di soda.
Diventa il locale prediletto di Verdi e Toscanini, Dudovich e Carrà.
Ottant’anni dopo il Camparino, storico bar di Campari, torna in Galleria Vittorio Emanuele II a Milano con una nuova insegna firmata dal maestro Ugo Nespolo.
Il Camparino è uno dei simboli della città di Milano e ha segnato l’inizio della tradizione dell’aperitivo, che Campari ha diffuso poi a livello nazionale e internazionale.
Camparisoda inventato nel 1932: il Campari da asporto con aggiunta di selz.
Innovativo, geniale, la possibilità di avere l’aperitivo preferito ovunque, sia a casa che altrove.
La bottiglietta conica a forma di calice rovesciato, in stile futurista, è stata disegnata dall’artista Fortunato Depero.
Sul “ libro bullonato” del 1927 si legge questa dedica: “Al Comm. Davide Campari esempio eletto ed audace di industriale amico degli artisti con devota riconoscenza per la sua generosa collaborazione”.
E di artisti la Campari ne assoldò parecchi.
Sergio Tofano, Giuseppe Cappadonia, Fortunato Depero, Giorgio Muggiani, Guido Crepax, Franz Marangolo, Franco Scepi, George Guillermax, Daniele Fontana solo alcuni dei tanti.
Un invito e un motivo forte per vedere il fantastico museo allestito in Via Gramsci, 161 a Sesto San Giovanni in quell’hinterland milanese a me personalmente tanto caro.
Rivivo le mie radici attraverso le sale della “Galleria” portandomi appresso l’immagine del mio bisnonno operaio, fotografato vicino all’alambicco.
Una carrellata nella storia del costume, un connubio incredibile fra arte, impresa e moda.
Uno dopo l’altro e in sole due ore i manifesti, gli spot, i calendari, gli oggetti, le foto ti portano in un abbraccio mediatico, alla rivisitazione di 130 anni di storia italiana.
Alla fine non vorresti più uscire e i tuoi occhi così avvolti nel bello non vorrebbero vedere altro.
In particolare mi fermo davanti al manifesto di Marcello Dudovich del 1913.
Dal disegno traspare inesorabilmente la vocazione di modista, di capellaio raffinato e colto.
Sei persone, due uomini e quattro donne più un braccio, quello del cameriere che versa il Cordial nei bicchierini.
Le donne vestite di colori pastello: azzurro, verde, giallo rosa. Gli uomini uno in divisa da ufficiale, l’altro in frac.
Intorno al tavolino dalla tovaglia bianca le giovani indossano quattro cappelli di stile impeccabile: il giallo a tesa rivoltata con piuma, il bianco alla francese con fiocco nero alla giacobina, il verde a tesa larga piumato con una spilla dorata, il rosa ampissimo, di sbieco, che lascia immaginare una veletta.
Allora mi prende l’emozione e penso:
“Aranceti azzurri”
Aranceti azzurri
coperti da tramonti rosa:
e i riflessi della luce
d’un oro zecchino ch’acceca.
E coricarsi senza sonno
per poi ritrovarlo dopo l’amore.
E sognare di svegliarsi
in un bosco di betulle
e al risveglio trovarvisi.
Bello, questo dono di Zeus!
Brescia 4/6/78 erre.
Grazie a Campari e a chi ha continuato con intelligenza e lungimiranza il suo operato, grazie agli artisti che hanno avvolto in una nube aulica, con gusto e talento questo prezioso prodotto, grazie al Sig. Roberto Lorquando appassionato gallerista e cicerone instancabile che mi ha accompagnata in questo stupefacente viaggio.