Che bello, qui piovono ombrelli!
Ammettiamolo: tra i vari accessori l’ombrello è considerato una vera “seccatura” da portarsi dietro tutto il tempo, e lo è ancor di più se non piove! Oltretutto è proprio associato a brutte giornate senza sole, per tacere del fatto che non di rado lo si dimentica in giro. Eppure, per chi ha stile e buon gusto l’ombrello può diventare un complemento di moda prezioso, capace di dare un tocco di eleganza e originalità al look.
L’ombrello ha una lunga storia da riscoprire e, benché forse non ci si pensi mai, muove un business non indifferente in termini di manifattura artigianale e industriale dei vari componenti. Alla produzione di sorprendenti manici di ombrello in corno artificiale (galalite, un materiale facilmente lavorabile a mano, ma non stampabile e quindi inadatto a produzioni in serie) avevano pensato a metà degli anni ’50 due creativi artigiani di Casalmaggiore (CR) – Fulvio Rangoni e Umberto Ghezzi, rispettivamente falegname e segantino – senza però lanciare sul mercato la loro idea a causa del sopraggiungere del rivoluzionario moplen quale materiale plastico resistente ed economico, adatto ai più diversi impieghi. Così, lo psicologo Francesco Rangoni, figlio di Fulvio, si è ritrovato tra i “cimeli di famiglia” un ricco campionario di straordinario interesse (131 pezzi), e da qui alla decisione di donare l’intera collezione alla sua città il passo è stato breve. In particolare è il Museo del Bijou di Casalmaggiore a diventare la prima vetrina pubblica del fondo Rangoni-Ghezzi, destinato poi a confluire nel patrimonio della storica Scuola di Disegno Bottoli, che in passato ha formato generazioni di professionisti (tra cui gli stessi artefici dei manici).
In effetti il delizioso Museo della cittadina lombarda – che a livello internazionale è il tempio riconosciuto della bigiotteria made in Italy dalla fine dell’Ottocento alla metà e oltre del XX secolo, con più di 20 mila pezzi ornamentali, macchine utensili, fotografie e cataloghi provenienti dalle dismesse industrie locali e da numerose elargizioni private – è andato sempre più assumendo il ruolo di custode e interprete dei costumi nazionali non solo sul piano estetico, ma anche etico, economico, sociale, culturale tout court. In quest’ottica ha organizzando un’originale mostra (“Galalite, bachelite & Co. 121 impugnature d’ombrello e altre meraviglie”, dal 23 Settembre al 5 Novembre), dove sono esposti, oltre agli squisiti manici “griffati” Rangoni-Ghezzi, anche altri oggetti coevi in bachelite e resine varie, tra cui bijoux, pipe, occhiali, penne, telefoni, ecc.
Visitando tale rassegna, e in particolare ammirando le fantasiose impugnature (rimaste purtroppo solo a livello di campionario), si potrà comprendere come l’ombrello possa essere molto più di un mero accessorio per ripararsi dalla pioggia, per diventare invece un oggetto di classe, un plus che fa la differenza, perfeziona una mise, personalizza uno stile.
Nato in realtà per proteggere dal sole (ovvero per fare ombra, come rivela il nome), fu inventato in epoca remota (anteriore al XIII secolo a. C.) in Oriente, probabilmente in Cina, e dopo essere passato per India, Egitto, Persia, arrivò in Occidente nel V secolo a. C. attraverso la Grecia e poi Roma.
Simbolo del potere e del divino nell’antichità, l’ombrello sino al ‘400 venne impiegato esclusivamente come ornamento liturgico o da cerimonia pubblica (sebbene piuttosto pesante e di un certo ingombro). Solo nel ‘700 divenne un parasole leggero, pratico da usare e di ampia diffusione: un modellino di moda e di bellezza, molto apprezzato dalle dame che desideravano preservare la pelle candida. Poi nell’800 e soprattutto nel ‘900 divenne l’accessorio che conosciamo oggi, super-maneggevole e atto a riparare da pioggia, neve e vento.
Senza suggerire di scegliere modelli “firmati”, ci permettiamo comunque di propugnare un ritorno al mood fashion degli anni ’20, allorché l’ombrello era rigorosamente abbinato al vestito, alle calzature, alla borsa… e persino alla corsetteria! Beh, forse questo sarebbe un po’ eccessivo, però non sottovalutiamo mai il fascino di un bell’ombrello!
Scriveva Enrique Febbraro: “Quando piove divido il mio ombrello, se non ho l’ombrello divido la pioggia”.