Che lingua parliamo con gli abiti?
Una delle funzioni del vestito è quella comunicativa: quando ci vestiamo comunichiamo qualcosa, volenti o no. Comunichiamo la nostra identità, il nostro ruolo o anche qualcosa di più accidentale, come l’umore del momento. Questa comunicazione attraverso gli abiti è una sorta di lingua che è indispensabile nelle nostre relazioni con gli altri. Ma essa nasconde un’ambiguità.Come è stato notato, ogni abito che scegliamo di indossare non è un semplice indizio, ma è un segno. Mentre l’abito unico del povero è semplicemente indizio di miseria, l’abito passepartout che viene indossato per comodità o per contestazione segnala appunto uno di questi due atteggiamenti. Anzi, si è soliti definire l’abito come un codice, ossia un insieme di segni, perché è veicolo di trasmissione e di espressione di molti messaggi allo stesso tempo.
Trasmette chi sono, quanti anni ho, qual è il mio carattere e la mia posizione sociale, addirittura di che umore sono oggi.
Non solo: oltre a mandare molti messaggi su chi sono io, l’abito manda una serie di messaggi sulla relazione che in ogni momento desidero stabilire con l’altro.
L’abito elegante è segno di rispetto o di autorità, l’abito casual è segno di confidenza o di indifferenza, l’abito audace indica seduzione, quello castigato desiderio di passare inosservati. Per questo, il vestiario è stato paragonato a una lingua: il vocabolario è rappresentato dal guardaroba e le frasi dagli abiti che scelgo di volta in volta se indossare o abbinare.
Ma c’è una complicazione: oggi la moda ha moltiplicato e confuso i segni. Vestire trasandato ma griffato può costare una fortuna, mentre dietro una certa ricercatezza può nascondersi spesso l’ingenuità del parvenu. Questa varietà e ambiguità di messaggi ha spinto a ridefinire l’abito come sottocodice: per decifrarlo, devo conoscere non solo la grammatica, ma anche la sintassi; non solo i vocaboli, ma anche le frasi idiomatiche. Il sari indiano indossato da una donna in piena Torino non trasmette gli stessi messaggi se indossato a Calcutta, per non parlare della kefiah portata dal beduino nel deserto o in una protesta studentesca.
Se non vogliamo vagare in una specie di babele, è allora necessaria una bussola. Ma quale? Questa bussola è lo stile personale: solo chi ha un inconfondibile stile personale è capace di esprimersi con maggiore sicurezza e dunque di inviare messaggi più facilmente decodificabili rispetto a chi non sa distinguere i modi dalle mode.
Al di là dell’importanza del vestito, resta sempre il soggetto che si veste; oltre e attraverso l’abito, la persona.