Cinema alla moda
Il mondo del cinema da sempre influenza la moda e ne è influenzato. Il grande Luchino Visconti ai suoi attori faceva indossare non solo abiti e accessori autentici, ma addirittura quei particolari che mai gli spettatori avrebbero visto (ad esempio le sottovesti). Nell’epoca del muto i couturier creavano per le “divine” i costumi più bizzarri, affinché essi stessi diventassero degli eventi, e spesso le sceneggiature erano scritte appositamente per consentire alla star di turno – da Gloria Swanson a Greta Garbo – di sfoggiare abiti sempre diversi.
Sicché questa “follia” portò i grandi sarti, alla fine degli anni ’20, a concepire lo stile del bianco e nero giusto in ossequio al bianco e nero dello schermo. Fu forse negli anni ’60 che il rapporto tra moda e cinema si fece più stretto, a giochi invertiti però, nel senso che, col tramonto delle star del passato, furono gli stilisti ad imporre il mito dell’immagine. Tutt’oggi è così e ci piace constatare che sovente dalle major hollywoodiane vengono scelti abiti made in Italy per i set cinematografici. Così vediamo James Bond, alias Pierce Brosnan, in Brioni e l’American gigolo Richard Gere in Armani (indelebile la scena dell’affascinante attore che stende sul letto camicie e cravatte, giacche e pantaloni, tono su tono, per accostare i pezzi giusti). King Giorgio, in verità, ha vestito i protagonisti di oltre 80 film: per ricordarne solo alcuni, citiamo “Entrapment”, “Batman”, “Pulp Fiction”, “Nirvana”. Anche Missoni ha dato il suo tocco a varie pellicole, da “Basic Instinct” a “Pretty Woman, da “Philadelphia” a “Qualcosa è cambiato”. Ma pure Ermenegildo Zegna, Valentino, Versace, Fendi, Corneliani “firmano” i guardaroba della mecca del cinema; del resto, non dimentichiamo che “il diavolo veste Prada”!
Tenendo conto dell’egemonia dell’industria filmica americana e della sua forza commerciale, possiamo ben comprendere quale sia la promozione che deriva per la moda italiana.
Insomma, spettacolo e moda viaggiano mano nella mano su vie sempre più intricate: si pensi a quanti stilisti cerchino di accaparrarsi come testimonial (a suon di doni e ricchi cachet) le star più note. Valentino, ad esempio, si distingue per lo strabiliante numero di attori di cui si aggiudica la “vestizione” alla serata degli Oscar.
Non va trascurato, inoltre, lo stretto legame che esiste tra fotografia di moda e cinema: lo osserviamo nella comunicazione di tanti stilisti, dove il desiderio di frammentazione e veridicità appaiono fortissimi, al punto che talvolta le immagini delle campagne pubblicitarie vengono tratte da veri e propri cortometraggi girati ad hoc. Così le atmosfere patinate cedono il passo ai toni narrativi del cinema o del documentario, in una commistione di linguaggi sempre più esplicita (l’eccezione che conferma la regola è stata la storica campagna di Ferdinando Scianna per Dolce&Gabbana che ha sottratto al tempo gli abiti per farne segni semantici puri).
Si pensi, del resto, all’importanza che hanno assunto forme espressive come i videoclip “griffati”, da cui trapela tutta l’ambizione delle case di moda a vestire le celebrities del mondo della musica.
E d’altro canto, scopriamo che sono davvero esigui i registi cimentatisi con successo nel raccontare la moda. C’è riuscito, ad esempio, Wim Wenders nel 1989 con “Appunti di viaggio su moda e città” incentrato sulla figura di Yamamoto, di cui viene esaltato il magistrale lavoro (incarnato in una camicia da uomo).
Comunque, è solo quando moda e cinema arricchiscono reciprocamente i loro linguaggi, caricandoli di valori, che le immagini si fanno senza tempo, in grado di narrare in pochi fotogrammi il cuore di tutta l’esistenza.