Collaborazione del cliente? No, grazie!
Numerose aziende di settori diversi, moda inclusa, stanno sperimentando nuove iniziative per valorizzare il potenziale creativo dei propri clienti, ai quali chiedono di collaborare nella progettazione dei prodotti. Tuttavia, se tale modalità può funzionare per i marchi mainstream, si rivela fallimentare per quelli del lusso, i cui clienti sono ultrasensibili a tutti i segnali che denotano qualità. In ambito fashion, ad esempio, sono soprattutto i brand più “commerciali” come Diesel, H&M , Replay a poter trarre sostanziali vantaggi da strategie di interazione con i consumatori nello sviluppo del prodotto. Le maison di maggior prestigio, invece, restano a bocca asciutta. Potrebbe sembrare controintuitivo, ma è così.
In effetti tutto ciò è stato dimostrato scientificamente, oltre che empiricamente, da un’approfondita ricerca condotta da Emanuela Prandelli, professore associato presso il Dipartimento di Management e Tecnologia dell’Università Bocconi, insieme a Christoph Fuchs della Rotterdam School of Management, Martin Schreier della Vienna University of Economics and Business e Darren W. Dahl dell’University of British Columbia, in un articolo sul Journal of Marketing (“All that is Users Might not be Gold: How Labeling Products as User-designed Backfires in the Context of Luxury Fashion Brands”, Dahl D., Fuchs C., Prandelli E., Schreier M., September 2013, Vol. 77, pp. 75-91).
In esso si spiega che, da un lato, vi sono imprese come Muji, Bmw, Threadless, Oscar de la Renta le quali attraverso una pluralità di strumenti, spesso in ambiente digitale, cercano di stimolare gli utenti alla collaborazione proattiva, con l’obiettivo di ottenere un vantaggio competitivo grazie alla possibilità di ridurre i costi associati all’innovazione, migliorare il time-to-market e offrire proposizioni di valore che incontrino meglio le esigenze del mercato. Dall’altro vi sono brand alto-di-gamma quali Gucci, LVMH, che non possono acquisire particolari benefici, a causa della refrattarietà “psicologica” e reale dei loro clienti a deroghe estetiche.
In generale nel settore della moda, che oggi vale oltre 1.500 miliardi di dollari all’anno a livello complessivo, vari brand hanno avviato test su nuove forme di coinvolgimento degli utenti nella definizione degli assortimenti e, in senso più lato, nelle diverse fasi del processo di creazione del valore.
Basandosi sui risultati di quattro esperimenti che hanno interessato circa 1.200 intervistati, i nostri ricercatori hanno esplorato le motivazioni sottostanti questo effetto. Nel primo studio si conferma la chiara preferenza degli utenti per prodotti disegnati grazie alla collaborazione della domanda per i marchi moda con posizionamento più mainstream, mentre si dimostra come gli effetti risultino praticamente speculari per i brand di fascia più elevata. Il secondo studio approfondisce le ragioni sottese a questo effetto negativo. Nella fattispecie, i clienti dell’haut-de-gamme sembrano percepire nei prodotti disegnati da altri utenti minor qualità e minore capacità di esprimere uno status alto, che è un driver fondamentale delle scelte di acquisto in questo comparto.
Le implicazioni manageriali che ne derivano sono rilevanti e – osserva la prof.ssa Prandelli – fanno scaturire un avvertimento per i brand del lusso, anche se alcuni privilegi derivanti dalla collaborazione restano evidenti: ad esempio, la generazione di nuovi prodotti oggettivamente apprezzabili e il maggior coinvolgimento nel brand da parte di chi ha partecipato in modo concreto a iniziative di user-design.
Come possono dunque le imprese del lusso non perdere l’opportunità di sfruttare siffatti benefici e, nello stesso tempo, riuscire a gestire le percezioni negative da parte degli utenti?
Nel terzo studio viene comprovato che le percezioni negative dei consumatori si riducono laddove la collaborazione nel disegno del prodotto interessi artisti o celebrità o comunque sia esplicita l’approvazione del risultato ottenuto da parte del designer. Ne conseguono quindi chiare indicazioni sui profili di domanda che possono essere più utilmente coinvolti in campagne di user-design.
Infine, i risultati del quarto esperimento evidenziano l’opportunità di prestare attenzione anche alla categoria di prodotto dove si sperimentano forme di collaborazione con la domanda, dal momento che, a parità di brand, i prodotti in cui il contenuto di status ha una minore rilevanza, quali sneaker, borse sportive e t-shirt, sembrano premiare maggiormente la partecipazione attiva dell’utente rispetto ad articoli più tradizionali, in cui le scelte dei consumatori sono più legate alla capacità dell’oggetto stesso di denotare distinzione, quali scarpe e borse formali e bluse.
Dai professori un’utile lezione per la moda di oggi e di domani.