Come si cambia per non morire
Due eventi di grande interesse, tenutisi qualche settimana fa, ci aiutano a capire in quali direzioni le imprese della moda potrebbero o dovrebbero muoversi, se non lo stanno già facendo.
Il segreto, che forse tale non è, per fortuna, dato che ne siamo sempre più consapevoli, del made in Italy è nella presenza di due fattori: la filiera che garantisce la tracciabilità dell’intero ciclo produttivo e l’artigianalità, il fatto a mano. Hanno concordato su questi punti tutti i partecipanti al primo convegno dell’Università Luiss per la serie “Appuntamenti con l’ingegno: alla scoperta dei fattori di successo del made in Italy nel mondo”, realizzato in collaborazione con il Comitato Leonardo. L’evento, svoltosi a Roma alla presenza del Ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda, ha visto l’intervento di autorevoli rappresentanti del sistema moda italiano, come il Presidente della Camera della Moda Carlo Capasa, il Presidente di Confindustria Moda Claudio Marenzi, il Presidente di Altagamma Santo Versace, il Direttore della Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte Alberto Cavalli, la Presidente del Comitato Leonardo Luisa Todini.
Il Ministro Calenda, ha sottolineato come il settore della moda soffra dell’atavica mancanza di coordinamento e di un’economia di sistema, ma finalmente, dopo tanto lavoro, si è giunti a costituire un “tavolo della moda integrato” che operi su alcuni capitoli, i quali comunque “vanno ancora sviluppati”. In quest’ottica occorre allineare meglio i progetti in campo per individuare e formare nuovi talenti, per spingere l’acceleratore sul concetto di sostenibilità con “un concetto di qualità che vada oltre quella del prodotto, aggiungendo sostenibilità, tracciabilità e ambito culturale in cui il prodotto nasce, che è la nostra capacità manifatturiera”.
Al meeting della Luiss hanno preso parte in veste di relatori anche alcuni nomi prestigiosi dell’imprenditoria fashion come Nicola Bulgari, Brunello Cucinelli, Pierluigi Loro Piana, i vertici di Accademia Costume & Moda. Dalle loro testimonianze è scaturita una sorta di “ricetta” i cui ingredienti, oltre alla sopra citata filiera e all’hand made, sono la creatività, ovvero la capacità di tradurre un’idea in un prodotto bello e ben fatto, desiderabile e vendibile in tutto il mondo, e la formazione, il valore del saper fare, in particolare del “manu-fare”. In effetti i presenti hanno ribadito all’unanimità l’importanza per le nuove generazioni di tornare all’artigianato, alla luce di una imprescindibile valorizzazione del fattore umano. Ma ciò non esclude, semmai include sempre più, la necessità di acquisire capacità di marketing, ovvero di commercializzare i prodotti in un contesto globalizzato, in cui l’innovazione tecnologica spinta e la minaccia della contraffazione richiedono competenze sempre più evolute e aggiornate continuamente.
Il Ministro Calenda ha voluto rimarcare pure un altro aspetto, vale a dire la vendita di alcuni storici brand italiani a gruppi stranieri, per cui, secondo lui, non c’è nulla da recriminare e nessun motivo di scandalo. “Non c’è niente di più sbagliato di dire che il made in Italy è in svendita – ha insistito – Per me un’azienda è italiana quando lavora, produce e assume in Italia. La proprietà è irrilevante. La storia dei marchi acquisiti dimostra che hanno aumentato occupazione, margini, produttività. Sono capitali che vogliono investire su cose fatte in Italia. Il provincialismo in questo settore non paga mai”.
Passando ad un altro recente convegno che, sebbene non incentrato sulla moda la tocca da vicino comunque, vale la pena di accennare a “Economia 4.0”, organizzato a Bologna da Centergross e Ucid Emilia-Romagna, con un focus speciale sui futuri scenari della cosiddetta quarta rivoluzione industriale, ovvero quel processo già in atto che porterà alla produzione industriale del tutto automatizzata e interconnessa.
Romano Prodi, ex- Presidente del Consiglio, ora Presidente della Fondazione per la Collaborazione tra i Popoli, ha aperto il dibattito sostenendo l’esigenza di un collante politico che permetta di traghettare l’economia dal grado 3.0 a quello 4.0, senza con ciò turbare un quadro sociale già posto a dura prova dai lunghi anni di crisi. Il Professore ha ricordato che Stati Uniti, Cina e Germania stanno investendo cifre impressionanti per il completo rinnovo delle loro strutture produttive, ed ha concluso che: “Non possiamo essere estranei a queste sfide e dobbiamo accelerare scegliendo i tempi e i modi dei nostri interventi, che dovrebbero includere un ripensamento serio del sistema dell’istruzione, con l’obiettivo di dare nuovo valore e centralità alla formazione tecnica, sia nella scuola superiore sia in ambito universitario”.
Alberto Vacchi, Presidente di Confindustria Emilia, ha aggiunto: “Questo processo richiederà lo sviluppo di nuove competenze, a partire dall’Università che dovrà creare nuovi percorsi di studio e formazione: ad esempio serviranno nuove figure professionali; l’alta formazione 4.0 prevede infatti capacità di integrazione tra competenze. L’investimento pubblico dovrà essere consistente, e realizzato in tempi credibili. Dal punto di vista aziendale e dal nostro osservatorio sulla competitività, siamo certi che senza sforzo per innovarci saremo fuori dalla competizione”.
Infine Lucia Gazzotti, Presidente del Centergross e Ucid Emilia-Romagna, ha affermato di essere consapevole che l’espressione “quarta rivoluzione industriale” spesso richiami scenari catastrofici in cui le macchine finiranno per prendere il posto degli uomini nella produzione industriale. Ma ha spiegato altresì che tale scenario non si verificherà se il nostro Paese saprà guardare a questa nuova fase di mutamento come un’opportunità per migliorare la vita dei propri cittadini – e non per sostituirli. Ha quindi rassicurato: “L’Italia in tal senso si è allineata all’Europa per definire un percorso di sviluppo industriale sostenibile, basato sull’innovazione e sulla competitività delle imprese che saranno sempre più tecnologiche, sempre più 4.0”. Le ha fatto eco il Ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti, il quale ha voluto rendere un particolare omaggio alla regione ospite, l’Emilia-Romagna, esortandola a contare sempre sulle proprie formidabili competenze manifatturiere in ambito tecnologico e di automazione, fermo restando il sacro dovere di considerare la persona al centro di ogni processo evolutivo.
“Come si cambia” intonava una celebre canzone… E ne aveva ben donde!