Comunicare per essere preziosi
Fu nell’antico Egitto che per la prima volta si utilizzò un mezzo di comunicazione per parlare di preziosi. La storia ci ha restituito, infatti, i resti di un documento che accenna ad una ricompensa in oro per chi avesse fornito notizie su uno schiavo fuggito.
Dopo qualche millennio, eccoci ancora interessati a “comunicare gioielli”. Negli ultimi quindici anni, in effetti, abbiamo assistito ad una forte crescita degli investimenti pubblicitari e di pubbliche relazioni da parte di molte aziende italiane del settore, che talvolta hanno addirittura contribuito a scrivere la storia mondiale della comunicazione orafa. Ma rileviamo con piacere che si sono rese “visibili” anche numerose piccole società, per le quali il concetto di comunicazione era pressoché tabù fino ad allora.
L’obiettivo fondamentale a cui tutti puntano è quello di innalzare a marca il prodotto, cioè il gioiello, con la consapevolezza che, nella nostra epoca votata al culto dell’immagine, proprio la comunicazione è lo strumento più congeniale al proposito. Ed è solo apparente la contraddizione fra la preziosità e l’esclusività dei gioielli con la caratteristica dei mass media di “democratizzare” i messaggi, rendendoli accessibili ad un target trasversale di consumatori.
Nei primi anni ’90 del secolo scorso l’attività di comunicazione era ancora ignorata dalla stragrande maggioranza delle aziende del comparto. Questo disarmante risultato era imputabile da un lato al fenomeno del “sommerso” (che non rendeva giustificabile un budget pubblicitario sostenuto a fronte di “piccoli” bilanci d’impresa), dall’altro la struttura della filiera, molto lunga, tale da indurre a “delegare” le principali azioni di comunicazione ai grossisti (su riviste specializzate od in occasioni fieristiche).
Gli anni successivi hanno introdotto sensibili trasformazioni in questo contesto statico: i big del settore hanno addirittura quintuplicato le loro spese per iniziative di advertising (le campagne di Damiani assorbono percentuali di fatturato a due cifre) e, soprattutto, hanno cercato di consolidare con ogni mezzo il loro ruolo di marche (si pensi che solo dieci anni fa almeno il 50% delle aziende oggi presenti sui media non si era mai interessato di pubblicità o non aveva un proprio brand distintivo). Le grandi marche, comunque, hanno innescato un vistoso “effetto traino”, influenzando sensibilmente centinaia di piccoli produttori, che finalmente hanno iniziato ad orientare i loro messaggi al cliente finale e non più solo al trade.
Si può quindi affermare che negli anni ’90 il fenomeno più rilevante nell’ambito della comunicazione è stata, per l’appunto, l’entrata in scena della gioielleria. Va precisato che nella scelta dei media su cui apparire le preferenze convergono sui magazine femminili e le inserzioni tendono a concentrarsi negli ultimi tre mesi dell’anno, a ridosso del Natale. Fanno eccezione, naturalmente, alcuni big spender come Damiani, Cartier, Bulgari e Pomellato che hanno optato per una distribuzione più uniforme delle azioni comunicazionali. A queste ed a tante altre marche importanti dobbiamo poi riconoscere il merito di aver saputo creare intorno a sé una sorta di alone di prestigio, evocativo di certi valori, tale da rendere quasi superfluo, secondo alcuni opinionisti, il persistere del messaggio pubblicitario stesso. Ad esempio, un brand come Cartier non identifica solo degli splendidi gioielli, ma evoca tutto un mondo fatto di arte, di bellezza, di creatività.
La piccola azienda che, invece, non ha ancora acquisito il valore di marchio, deve innanzitutto sviluppare una precisa identità stilistica, derivante dalla conoscenza della sua storia e delle sue competenze distintive, e quindi servirsi della comunicazione per arrivare ad occupare una ben definita nicchia, saldamente difendibile. E’ necessario, inoltre, ripensare alle relazioni con la rete distributiva: comunicare risulta inutile, se non autolesionistico, se le vendite sono affidate a grossisti e poi a dettaglianti che non sanno proporre se stessi ed il prodotto in modo coerente con la filosofia dell’impresa.
Abbiamo poc’anzi scritto che negli ultimi anni è sostanzialmente lievitato il numero degli annunci pubblicitari di maison gioielliere: ma quali messaggi sono stati veicolati? Anche agli occhi del semplice lettore appare evidente, per lo più, come la comunicazione stia cercando di convincere che 1) il gioiello non è un oggetto esclusivo; 2) non è uno status symbol; 3) non è un bene rifugio. Il gioiello, in pratica, deve diventare un accessorio moda, e se per certi aspetti nei contenuti continua a parlare d’amore e di emozioni, per altri sceglie vie più eversive ed audaci.
Molto resta da fare per le aziende, invece, sul fronte delle pubbliche relazioni, finora piuttosto trascurate e considerate un’attività puramente residuale. Poche sono allo stato attuale (se si eccettuano i soliti marchi d’eccellenza), le case di gioielleria che abbiano elaborato strategicamente un piano di comunicazione ben strutturato, che integri e coordini obiettivi, azioni, tempi, al fine ultimo di promuovere l’immagine del brand presso il pubblico a 360 gradi (dagli addetti ai lavori ai consumatori finali). Ciò significa studiare azioni coerenti col proprio sistema di valori, che trascendano la mera pubblicità, e quindi: organizzazione di eventi, sponsorizzazioni, pubblicazioni, testimonial, rapporti con la stampa, opinion leader, comunicazione finanziaria, comunicazione interna, ecc.
Anche la presenza sul Web dovrebbe essere strettamente presidiata in una strategia di comunicazione integrata: vale a dire, ad esempio, che per il sito non basta predisporre materiale idoneo, ma occorre che questo sia anche aggiornato costantemente. Le potenzialità di Internet in termini informativi sono comunque altissime, specie se si considera che la maggioranza dei consumatori, in particolare se giovani, è quasi del tutto impreparata ed insicura sui gioielli. Ma la più efficace direzione nella quale le aziende orafe dovrebbero agire è quella di sfruttare le potenzialità relazionali del Web per dar vita ad un mondo che colleghi l’oggetto prezioso ad altri prodotti e immaginari secondo una logica lifestyle.