Da Hildegarda alla “gemmologia planetaria” dell’India vedica
La grande mistica tedesca Ildegarda di Bingen (1098-1179) fu richiamata più volte dalle autorità ecclesiastiche per la sua consuetudine di ornarsi con gioielli e abiti lussuosi durante le funzioni religiose e le preghiere: una pratica considerata scandalosa nell’austero ambiente monastico benedettino in cui operava (oltretutto era badessa). La risposta che diede ai suoi superiori fu questa: “Come la terra fangosa conserva al suo interno tutti i suoi frutti nel tempo invernale restituendoli in estate, così l’uomo adorna come di pietre preziose le virtù che aveva prima e le rende ancora più belle”. Dunque, possiamo comprendere bene l’amore di Ildegarda per gli oggetti preziosi se consideriamo che le gemme dell’interiorità devono irradiarsi nello splendore dell’ornamento: per la badessa il lusso nella vita quotidiana era un mezzo per presentarsi degnamente a Dio. Venerata come santa dalla Chiesa cattolica e dichiarata dottore della Chiesa da papa Benedetto XVI nel 2012, Ildegarda dedicò anche dei libri alle gemme (il suo Lapidario è tra i più famosi del Medioevo). Nella vita questa donna straordinaria fu tra l’altro poetessa, drammaturga, musicista, filosofa, astronoma, guaritrice, naturalista e persino autorevole consigliera politica.
“Me voglio fa ‘na casa mmiez’ ‘o mare, / fravecate de penne de pavune. / D’argiento e d’oro voglio fa lli ggrare / e de prete preziose li balcune”. Così inizia, citando scale fatte di metalli preziosi e balconi di gemme, la “Canzone Marinara”, una delle più suggestive romanze napoletane. Pochi sanno che a comporre questo “gioiello” di gusto belcantistico fu niente meno che il grande musicista Gaetano Donizetti, bergamasco, il quale si cimentò pure con altri brani della tradizione napoletana, mostrando una certa dimestichezza la lingua campana. Databile intorno al 1839, la canzone coincise con l’ultimo periodo del lungo soggiorno del Maestro lombardo nella città partenopea, durante il quale egli fu titolare della cattedra di composizione presso il Conservatorio San Pietro e autore di opere di successo per il Teatro San Carlo. A vergare il testo della “Canzone Marinara” fu invece Raffaele Sacco, rimatore di successo all’epoca, che da buon napoletano era innamorato dei manufatti in oro e pietre preziose rinvenuti nei siti archeologici di Pompei ed Ercolano, così come delle preziose parure dei secoli XVIII e XIX, realizzati secondo la moda della gioielleria di corte dei re di Napoli, che appunto gli ispirarono i riferimenti a oro, argento e pietre preziose.
Ratna-para-vidya, alle nostre latitudini meglio nota come “gemmologia planetaria”, è un antico sistema di credenze e pratiche vediche fondato sulla relazione tra alcuni tipi di gemme e altrettanti pianeti reputati fondamentali nell’astrologia indiana. In Oriente, specialmente in India, Sri Lanka, Thailandia e Myanmar (tutti Paesi produttori di gemme sin dall’antichità), è sempre stata attribuita una speciale valenza alla combinazione delle pietre in gioielli e talismani. I mix esoterici più conosciuti sono il Nava-Ratna (9 gemme), il Sapta-Ratna (7 gemme), il Pancha-Ratna (5 gemme), il Tri-Ratna (3 gemme), dove il termine Nava significa nove e Ratna gioiello in lingua sanscrita. In particolare, i monili Nava-Ratna con le loro nove gemme “siderali” sono considerati grandi portafortuna per l’influenza positiva che esercitano sulle energie dei pianeti: quando le nove gemme sono insieme e a contatto con la pelle, conferiscono potere e protezione a chi le indossa. Tali pietre ed i pianeti corrispondenti sono: rubino-Sole, diamante-Venere, perla-Luna, corallo rosso-Marte, hessonite (o pietra di cannella, una varietà di granato)-nodo lunare ascendente, zaffiro blu-Saturno, occhio di gatto (varietà di crisoberillo)-nodo lunare discendente, zaffiro giallo-Giove, smeraldo-Mercurio. Secondo l’astrologia vedica, quando si acquista o si riceve in dono un talismano Nava-Ratna ci si deve assicurare che le pietre preziose contenute in esso siano pure il più possibile e “purificate” con la recita di un apposito mantra. Infine una curiosità: in India un uomo di straordinarie qualità si definisce Purusha-Ratna (gioiello di uomo) e una donna di doti eccezionali Sthree-Ratna (gioiello di donna), mentre il più alto riconoscimento assegnato ai cittadini dal Governo indiano è chiamato Bharata-Ratna (gioiello dell’India).
Chi crede che l’epoca attuale sia il momento di massimo fulgore per le pietre preziose – con fior di “vip” che ne fanno ovunque sfoggio generoso – si sbaglia davvero. Secondo rigorosi studi storici, infatti, risulta che fu l’elegante epoca edoardiana (1900-1915), conosciuta anche come “Garland style” (letteralmente: stile ghirlanda), la fase più felice per le gemme. Mai come allora, infatti, si videro indossare pietre di dimensioni tanto notevoli e sommo fascino da parte dei maggiori esponenti dell’alta borghesia e dell’aristocrazia, prima fra tutte le Principessa del Galles, che amava esibire zaffiri, rubini, smeraldi e diamanti di eccezionale grandezza. Era un tempo di pace, in cui chi poteva non esitava ad ostentare la propria ricchezza attraverso i gioielli. Derivata direttamente dal gusto raffinato di fine Ottocento ed influenzata dall’Art Nouveau, che proponeva uno stile “fiorito”, caratterizzato da coloratissimi vegetali ed animali, la gioielleria edoardiana poté beneficiare di nuove tecniche di taglio delle pietre e di una maggiore attenzione alla qualità delle gemme. Tra le altre pietre in auge all’epoca vi furono l’opale, la pietra di luna, l’alessandrite, i diamanti di colore e, fra i metalli, soprattutto il platino incontrò molto favore. Lo scoppio della prima guerra mondiale dissolse questo mondo da sogno.