Dal lusso con amore
Non molto tempo fa il “Financial Times” (Global Business Elite report) titolava: “Luxury is back in fashion”, spiegando che i beni d’alta gamma furoreggiano e sono destinati a mietere allori anche in futuro. Solo per citare qualche dato dello scorso anno, gli orologi da polso di valore superiore ai 4500 euro sono cresciuti del 25% in Europa, mentre in Asia i gioielli da oltre 5000 dollari hanno fatto un balzo in avanti del 24%, un po’ meno di champagne e bevande che hanno segnato un progresso del 36%. Quanto agli USA, la domanda di yacht è lievitata del 22% e quella di centri benessere/club/palestre del 26%. Cosa dedurre da queste cifre? Che nel mondo circola più ricchezza? Forse sì e questa sta in un numero crescente di mani (sempre “happy few”, comunque). Ma quanto sborsato dai big spender dove finisce? Gli analisti rispondono che si riversa su pochi brand e pochi individui.
Allora come sta davvero il nostro lusso? Ne abbiamo parlato con uno dei massimi specialisti in materia, Luca Solca, che ha ricoperto il ruolo di Senior Equity Analyst – Luxury & General Retail presso Sanford C. Bernstein a Londra, ed attualmente è in forze alla francese CA Chevreux di cui è Global Head of European Research.
1) Secondo Lei, il concetto di lusso oggi è unico o plurimo? Ovvero: hanno senso espressioni come “democratizzazione del lusso” o “mass luxury”?
Credo ci siano diverse ‘interpretazioni’ del lusso oggi. Da una parte ci sono consumatori piu’ ‘nuovi’, per i quali i marchi piu’ noti sono molto importanti – infatti questi sono i marchi che loro conoscono e desiderano. Dall’altra ci sono consumatori piu’ sofisticati, per i quali e’ piu’ importante distinguersi – piuttosto che conformarsi ai marchi dominanti. Per questi, le offerte di nicchia – di qualita’ e di prezzo piu’ elevati – sono il focus.
2) Le nostre aziende hanno piena consapevolezza dei valori del lusso e, soprattutto, hanno la sensibilità culturale per affrontare la sfida di domani?
Credo che la gran parte delle nostre aziende del settore sia piu’ vicina al prodotto che al marketing. Un po’ per vocazione (molte aziende sono guidate dai ‘creatori’), un po’ per concentrazione sul mercato nazionale, un po’ per mancanza di mezzi e di scala.
3) Il brand è destinato ad assumere sempre più importanza nei settori del lusso?
Credo di sì, soprattutto nella misura in cui la gran parte della crescita e’ guidata da ‘nuovi’ consumatori, per i quali l’importanza del marchio – come dicevo sopra – e’ particolarmente forte. La gioielleria e’ un caso un po’ a parte, dal momento che e’ la categoria del lusso meno penetrata dai marchi. Il successo di players come Tiffany, tuttavia, mi sembra la dica lunga sulle prospettive di medio periodo. La creazione di marchi diventa quasi obbligatoria quando nuovi retailers (ad es. Pandora, Stroili Oro, etc.) si affacciano al mercato con i loro negozi.
4) Cosa aspetta il made in Italy d’eccellenza nei prossimi anni?
Un mercato sempre piu’ globale – insieme alla sfida di costruire la propria distribuzione diretta. Molti players italiani nel passato hanno fatto leva su retailers indipendenti multi-marca e su un focus italiano/ europeo. Questo dovra’ cambiare.
5) Che effetti ha avuto la crisi finanziaria mondiale sul lusso italiano?
Durante una crisi tutto diventa piu’ difficile, e le sfide competitive si fanno piu’ urgenti e pressanti. Questa crisi non fa eccezione. Le imprese italiane hanno dovuto concentrarsi sul core business e spostare il focus sui mercati internazionali. Le imprese piu’ deboli fanno fatica a stare al passo con queste sfide.
6) In Italia come è possibile rilanciare il mercato interno, che da anni sconta una pesante crisi dei consumi?
Penso si tratti di un problema macro-economico. Il consumo di lusso va di pari passo con la ricchezza di un paese. La nostra ricchezza reale (GDP / capita) e’ ferma ai valori di dieci anni fa.
7) Il nuovo rapporto maschio-lusso come si declina e che prospettive apre?
E’ un mercato che diventa piu’ importante. Il mercato cinese – guidato oggi dal consumo maschile – ha contribuito a mettere questo lato del consumo in evidenza.
8) In che modo possiamo promuovere e tutelare i prodotti di lusso italiani dal peso dei dazi e dalle minacce di contraffazione, frode, concorrenza sleale tout-court?
Da una parte agendo con organismi associativi (ad es. Altagamma) in cooperazione con organismi analoghi di altri Paesi. Dall’altra continuando a combattere la contraffazione nel mercato. La mia idea e’ che la contraffazione e’ come l’erba: non smette mai di crescere. Per avere un bel prato, occorre non smettere mai di tagliarla.
9) Nel nostro settore, dove ha sempre regnato la frammentazione aziendale, tuttora si realizzano poche forme di aggregazione. Come si può superare il particolarismo imperante?
Il particolarismo e la frammentazione sono purtroppo la cifra del lusso italiano un po’ in tutti i settori. Ci manca un aggregatore/ consolidatore al livello di LVMH, PPR, o Richemont. La nascita di un ‘polo del lusso’ intorno a grandi marchi credo che dovrebbe essere la risposta. Ma non la vedo all’orizzonte.
10) In conclusione, quali sono i rischi e quali le opportunità che il lusso italiano dovrà fronteggiare?
L’opportunita’ e’ quella di competere nel mercato globale. Il rischio e’ quello di trovarsi troppo piccoli e impreparati in questa competizione.