Diamanti: rari o abbondanti?
“I migliori amici delle ragazze”, ovvero i diamanti, non sembrano mai uscire di moda, malgrado i prezzi. Ci si chiede talvolta se sia fondata l’affermazione che tali gemme sono rare, quando è noto che centinaia di milioni di carati si trovano montati su gioielli o circolanti in commercio o stoccati in casseforti di tutto il mondo.
Argomentazioni dello stesso tenore, riprese poi dai media, le accampava, già 30 anni fa, anche lo scrittore Edward Jay Epstein, autore del libro “The Rise and Fall of Diamonds”, nel quale si dichiarava che in realtà i diamanti non sono così rari come ci viene fatto credere e le quotazioni elevate da essi raggiunte sono frutto delle costanti iniziative di promozione ad opera di De Beers (per dovere di cronaca, va pure aggiunto che molte delle previsioni formulate da Epstein sul destino funesto del business diamantifero si sono poi rivelate erronee, per fortuna).
La verità è che esistono almeno due tipi di rarità: una numerica ed una comparativa. Un disegno di Leonardo da Vinci, un dipinto di Van Gogh, un manoscritto di Shakespeare costituiscono esempi del primo genere; i diamanti del secondo. Per i collezionisti d’arte la rarità numerica è certamente il fattore principale da valutare, ma ciò non vale assolutamente per le gemme. La domanda corretta da porsi allora diventa: perché i diamanti detengono un valore superiore rispetto alle altre pietre?
La ragione primaria risiede nella loro lunga tradizione di preziosità, che non è un’invenzione di De Beers. Già nell’antichità, in Asia prima ed in Europa poi, essi erano considerati fonti di ricchezza e di potere. Questa fama li ha accompagnati per millenni fino ai nostri giorni.
Ma il motivo fondamentale che più giustifica il loro prezzo è rappresentato dai costi ingenti di ricerca, estrazione, lavorazione, che ogni anno le compagnie minerarie devono affrontare nelle regioni più impervie della Terra. Si pensi che occorre estrarre una tonnellata di minerale per ottenere un solo carato di diamante, ovvero: soltanto 1/5milionesimo per tonnellata di roccia grezza diventa diamante.
Nel muovere critiche all’industria diamantifera molti non tengono conto, inoltre, del ciclo economico, con le sue fasi di boom e di recessione. In uno scenario classico i prezzi cadono quando l’offerta di un bene eccede la sua domanda. La discesa dei prezzi comporta l’uscita dal business di alcuni fornitori e la riduzione dell’offerta stessa. Così, nel corso del tempo l’offerta recede fino al punto in cui torna in equilibrio con la richiesta, spingendo i prezzi nuovamente verso l’alto. Attualmente è molto sostenuta e in costante crescita la domanda proveniente dai ricchi mercati BRIC (acrostico di Brasile, Russia, India, Cina), che fa lievitare ulteriormente i valori.
E’ vero che De Beers – a cui più di recente si sono affiancati altri colossi minerari nella gestione internazionale del business oligopolistico – ha strategicamente manipolato il mercato per parecchi decenni… ma non ha mai agito da price-keeper per sostenere artificialmente dei prezzi che – ci si perdoni il gioco di parole – sarebbero stati insostenibili! L’obiettivo era quello di prevenire turbamenti eccessivi sui mercati, trainando il settore nel suo complesso.
In futuro forse assisteremo a scenari più movimentati, con cicli economici più brevi di quelli sperimentati in passato, e non solo perché De Beers ha declinato ogni responsabilità del ruolo classico di custode dell’industria diamantifera. Nell’arena competitiva mondiale si sono fatti strada nuovi attori agguerriti, nuove dinamiche, nuovi consumatori, per cui ci sembra di poter asserire ragionevolmente che non saremo mai spettatori di una perdita di valore dei diamanti. Sono semplicemente troppo rari, costano troppo alle miniere e contano troppi anni di “preziosità” alle loro spalle. E – concludiamo – sono anche troppo belli!