“Divina creatura”
È stata un vero piacere per gli occhi la mostra che fino al 28 Gennaio si è tenuta a Rancate, in Canton Ticino, dedicata ai forti legami tra moda, arte e personalità femminile nella seconda metà dell’Ottocento. L’interessante rassegna, che nella Pinacoteca “Giovanni Zust” ha trovato lo spazio ideale di allestimento, è stata animata da abiti d’epoca, ventagli d’autore (ovvero decorati da celebri artisti, sovente gli stessi che effigiavano le “Belle Signore”), una sessantina di dipinti e sculture, vale a dire oggetti d’arte di vario genere, tra cui spiccavano i mirabili ritratti che le grand dames dell’alta società, tanto borghesi quando aristocratiche, commissionarono a prestigiosi maestri come De Nittis, Segantini, Previati, Zandomeneghi, Boldini, Ciseri, Vela, Feragutti Visconti, Luigi Rossi, Mosè Bianchi, Tranquillo Cremona, Domenico e Gerolamo Induno, Troubetzkoy, Corcos e altri.
I curatori della mostra (Mariangela Agliati Ruggia, Sergio Rebora, Maria Luisa Rizzini, con il coordinamento di Alessandra Brambilla) – intitolata “Divina creatura. La donna e la moda nelle arti del secondo Ottocento” – hanno saputo coniugare egregiamente per l’occasione alcune delle opere già presenti nel museo cantonale con altre di provenienza esterna (da collezioni sia pubbliche sia private), prendendo l’abbrivo da quello spartiacque temporale per la moda che fu l’apertura dell’atelier parigino del “mitico” sarto inglese Charles Frederick Worth, padre dell’haute couture, a metà del XIX secolo (1858). Tale personaggio rivoluzionò letteralmente i codici estetici sino a quel momento imperanti: oltre ad inventare la figura della modella, egli passò alla storia per i suoi abiti bianchi con la crinolina, ossia quell’accessorio della biancheria intima femminile consistente in una struttura rigida a “gabbia” che sorreggeva e gonfiava le gonne. Questa impalcatura divenne poi una sorta di status symbol, cosicché più una signora era abbiente, più la sua “corazza” era voluminosa. Worth in particolare ebbe l’idea di unire la parte superiore e inferiore delle vesti, che peraltro vedevano un trionfo di merletti, definendo così una silhouette di straordinaria eleganza. Anche grazie a lui emersero le “divine creature” immortalate dagli artisti, donne che forse per la prima volta si sentivano protagoniste anche al di fuori delle mura domestiche. Non a caso, una sezione monografica della mostra ticinese si focalizza sulla contessa Carolina Maraini-Sommaruga, generosa filantropa e patrona delle attività industriali femminili in Italia e nel Canton Ticino, “musa” di numerosi pittori del suo tempo (tra cui Vittorio Corcos, Giovanni Boldini, Marino Marini).
Non si pensi però che l’essere alla moda fosse una mera prerogativa delle dame del bel mondo; in effetti, grazie all’apertura dei primi Grandi Magazzini in alcune metropoli europee, tutte le donne poterono ambire ad essere “divine”. Inoltre, la diffusione di figurini e riviste illustrate, tra cui la rinomata “Margherita” (“giornale delle Signore italiane di gran lusso di mode e letteratura”, pubblicato a Milano dai Fratelli Treves), la popolarità della fotografia, i famosi affiches di atelier sartoriali e grands magasins, portarono la moda nei luoghi in cui non era mai arrivata prima.
Le opere in mostra al museo Zust sono state selezionate appunto per testimoniare come, sul fil rouge della couture, l’immagine ed il ruolo sociale delle donne cambiò radicalmente, evolvendo secondo paradigmi incarnati da figure-simbolo, in primis la regina Margherita di Savoia. Come tali sono assurte anche a documento della metamorfosi dello stile emergente da gesti e movenze che caratterizzano ambienti quotidiani diversi, interni domestici o strade cittadine, dove si inseriscono figure femminili intente a ricamare, leggere, fare conversazione, passeggiare, prendersi cura dei figli, riposare. Di ognuna gli artisti illustrano nei particolari l’abbigliamento, facendoci cogliere le più piccole variazioni di gusto e, così, trasformando la moda in uno degli elementi determinanti della modernità dell’oggetto d’arte stesso. Questa peculiare tendenza realista, che in Italia ebbe Mariano Fortuny quale massimo esponente, accomunò la sperimentazione dei maestri di tutte le scuole regionali italiane e di quella del Canton Ticino, dai Macchiaioli ai cosiddetti “Italiani a Parigi” come Giovanni Boldini.
Affermava Oscar Wilde: “O si è un’opera d’arte o la si indossa”; o si fanno entrambe le cose – aggiungiamo noi – e questa mostra ticinese lo ha provato.