Divino Bon Ton
Un “galateo” di nome e di fatto per i sacerdoti è quello che il 34enne Michele Garini, vicario parrocchiale di Asola (MN), ha recentemente dato alle stampe suscitando, com’era prevedibile, molta curiosità. In un periodo in cui la popolarità del clero non è proprio alle stelle – complici tanti scandali e un’eccessiva autoreferenzialità – mentre papa Bergoglio non perde occasione per stigmatizzare il “prete-farfalla”, “untuoso”, “devoto al dio Narciso” (sic), don Garini ha pensato bene di impartire lezioni di stile a quanti scelgono di consacrare la propria vita. E’ in questo “stile” infatti che si esprimono in concreto una pratica di fede e un tratto umano.
E’ nato così “Galateo per i preti e le loro comunità” (Edizioni Messaggero, Padova), un vademecum garbato e talora ironico che fa riflettere sull’agire quotidiano dei sacerdoti (e non solo) partendo dall’assunto che “il prete è sempre prete” in tutto quello che fa (o non fa). L’iniziativa è fiorita non a caso nel nuovo clima dettato dalla sobrietà “francescana”, nella convinzione che il recupero delle ragioni della vocazione passa anche attraverso le buone maniere, ovvero il vestire, l’arredamento della canonica, la scelta dell’auto, l’amministrazione delle offerte, le vacanze con i gruppi giovanili, l’impiego del tempo libero, le frequentazioni, ecc.
Sottolineando la trascuratezza e la sciatteria di certi colleghi, don Michele arriva a ridefinire il ruolo dei preti in una società nella quale al vecchio “status” sacerdotale di cura delle anime si è andato affiancando sempre più il rapporto con la “mondanità”. In sostanza, non si tratta di insegnare quali posate usare per il pesce o come eseguire una perfetta reverenza, bensì di affrontare i nodi della vita pratica in parrocchia, magari resistendo all’istinto di liquidare la questione come banale o secondaria. In effetti, a prescindere dalla liturgia e dalla catechesi, è dal modo con cui viene vissuta la quotidianità che emerge la vera natura di un’identità e di un ministero. Quindi l’attenzione alla propria esteriorità identifica un prete che deve “dare l’esempio” di equilibrio e buon senso: vivere nel secolo in modo corretto, seguendo il Vangelo, ma anche le regole del sano bon ton.
Spigolando fra i temi contenuti del volume, segnaliamo: “I sacerdoti scelgono gli abiti all’interno di una gamma cromatica molto limitata: nero, grigio, blu azzurro chiaro. Non dovrebbe essere difficile azzeccare gli abbinamenti. Invece si vedono accostamenti improbabili, capi consunti o completamente fuori moda, taglie sbagliate”. Ma è soprattutto in Chiesa che l’abito deve fare il monaco, per cui stonano palesemente i “camici che arrivano a malapena al ginocchio. Tonache consunte, con gli orli logori, oppure paramenti il cui odore rivela carente pulizia o conservazione”. Sull’altare non si deve “appoggiarsi come fosse il bancone di un saloon, sbraitare le parole, asciugarsi il sudore con il corredo, entrare nel calice con le dita».
E per quanto concerne l’alimentazione, vi è “chi non apparecchia neppure a tavola, mangia in piedi. Le suppellettili appaiono datate e scompagnate, spesso sbeccate. Tovaglie e tovaglioli logori, consunti e macchiati”. In linea di massima don Garini suggerisce di usare misura e discrezione anche nel decoro personale: “Il prete deve sapersi spogliare dal proprio abito ecclesiastico, per evitare che diventi una corazza e non farne l’unica garanzia sicura della propria identità. Ma allo stesso modo deve sapersi vestire del proprio abito, senza vergogna o falsi pudori”.Don Garini, talvolta “bacchettato” anch’egli per il suo abbigliamento informale (infradito e calzoni corti d’estate), ha spiegato: “L’idea del libro è nata trascrivendo brani di dialoghi ed esperienze personali. Mi sono reso conto che su noi sacerdoti si sono scritte tonnellate di carta, ma molto poco sulle dinamiche quotidiane, sul vissuto… Abbiamo a che fare quotidianamente con i grandi misteri della vita, la nascita, la morte, la fede, ma veniamo criticati magari perché andiamo a fare la spesa al supermercato. Dai modi con cui parliamo, abitiamo la casa, usiamo il nostro denaro, frequentiamo i locali pubblici, mangiamo e ci vestiamo può dipendere nel bene e nel male molto della pastorale”.
Per quanto riguarda il rapporto con il denaro, qui i reverendi dovrebbero infrangere il galateo tradizionale che prescrive di non parlarne, dal momento che hanno l’obbligo della trasparenza assoluta nei confronti delle loro comunità. Invece, “troppo spesso le finanze parrocchiali (o diocesane) costituiscono agli occhi dei fedeli un misterioso enigma”, ma “i fedeli hanno il diritto di conoscere con una certa esattezza sia i bilanci sia l’ammontare delle retribuzioni clericali”, non lesinando eventuali appunti alle decisioni presbiteriali. D’altro canto, sotto il profilo del bon ton abitativo, secondo don Garini bisogna evitare sia il modello della canonica-bunker, sia quello del porto di mare. Nella casa parrocchiale infatti “il prete non può sentirsi un ospite, ma deve vivere come a casa propria tenendo sempre presente di non essere a casa propria”; più in concreto, in ogni canonica dovrebbero esserci luoghi mantenuti privati (camera, cucina, salotto) e altri invece che facilitano gli incontri (ufficio, segreteria, sale riunioni). Anche gli arredi devono rifuggire tanto dal lusso e dalla solennità che possono favorire nel prete l’illusoria convinzione di prestigio sociale, quanto dallo squallore di un mobilio che sembra raccattato qua e là, senza il minimo gusto.
Nel volume non manca neppure il galateo per le nuove tecnologie, dove la regola di fondo è quella di non “utilizzare i media come riempitivi delle giornate o come compagni con cui trascorrere il proprio tempo”; si consiglia piuttosto: “Perché non virare su altre scelte, di sicuro più impegnative, ma capaci di dare contenuto e sapore al nostro tempo libero? Un libro, una rivista qualificata, un po’ di attività fisica, una visita a un amico…”. Si deduce da tutte queste piccole/grandi norme come don Garini, moderno Mons. Della Casa, voglia andare oltre un mero modello di educazione “borghese” per operare un effettivo cambiamento di mentalità nei suoi confratelli, come risposta coerente alla missione sacerdotale più autentica.
E concludiamo con il decalogo del “buon pastore” contemporaneo: 1) In chiesa non mettere le targhette dei prezzi a candele e immaginette, ma lascia l’offerta libera. 2) Non vergognarti di sbrigare le faccende di casa o di fare la spesa al supermercato. 3) Sii sobrio nelle spese e riduci i consumi, ma non pagare nessuno in nero. 4) Leggi almeno un quotidiano al giorno e non perdere tempo con Facebook. 5) La cura per il vestire significa rispetto per se stessi e per coloro che incontriamo. 6) Essere prete non ti dà diritto a sconti, regali o privilegi. 7) Apparecchia sempre la tavola, anche se mangi da solo. 8) Evita gli stereotipi “da prete”, soprattutto nei colloqui con le persone colpite da lutti o malattie. 9) Attento a non essere sgarbato, quando rispondi al telefono o al campanello della canonica. 10) Per le vacanze preferisci luoghi di cultura e natura, piuttosto che crociere e villaggi turistici. Così sia.