Do you remember Ossie Clark?
Quindici anni fa se ne andava appena cinquantaquattrenne Ossie Clark, l’estroso stilista inglese che dominò la scena della Swinging London negli anni ’60 e “˜70, vestendo il jet set internazionale: da Brigitte Bardot a Liz Taylor, da Marisa Berenson a Marianne Faithfull, da Mick Jagger a Eric Clapton, da Jimi Hendricks a George Harrison. Pochi lo ricordano oggi e sembra questa la sorte di tutti i precursori, di coloro che hanno ispirato le grandi invenzioni a chi li ha seguiti immediatamente dopo. Vogliamo rendergli omaggio qui, riconoscendo la sua influenza perdurante nelle collezioni degli stilisti più creativi della seconda metà del XX secolo e oltre.
Amante dei contrasti paradossali, delle contraddizioni estemporanee, degli ossimori scandalosi, Raymond Clark – soprannominato Ossie – fu il primo a disegnare il tailleur pantalone femminile nel lontano 1964 anticipando Yves Saint-Laurent; fu il primo a ideare l’audace Nude Look con i suoi chiffon trasparenti e fu il primo a concepire le camicie da uomo con i volant. Suoi furono anche i lunghi cappotti in tweed, le fantasie Pop Art, le sensuali giacche di serpente, i fluidi abiti tagliati di sbieco, le gonne corte indosso ad esili modelle teen-ager, le frange da street style, il crêpe, il raso e il velluto, bizzarre tinte e geometrie stilizzate che preludevano all’avanguardia contemporanea. Il designer britannico fu, parimenti, l’iniziatore della cosiddetta decontestualizzazione, mischiando le “occasioni” con indifferenza, ovvero facendo indossare di giorno gli abiti da sera e viceversa.
A Clark, grande sperimentatore di mezzi espressivi fin da quando frequentava ragazzo la Scuola d’Arte nel natio Lancashire, si deve pure il ruolo pioneristico nell’estensione del concetto di performance alle sfilate di moda, che egli proponeva in sedi finora a quel momento impensate, come il Royal Court Theatre, ricorrendo alla collaborazione di musicisti come David Gilmour, co-fondatore del celebre gruppo dei Pink Floyd.
Il suo stile per certi aspetti “edoardiano” fece breccia in particolare nel mondo artistico, percorso dai fremiti esistenziali di quegli anni che coagulavano in sé gli splendori e le miserie, le inquietudini e le speranze del dopoguerra, per riconfigurarsi e dar corpo a nuove idee, esaltate poi in sommo grado da personaggi come Andy Warhol, Emmanuelle Khan, Zandra Rhodes, Barbara Hulanicki.
Ossie Clark conobbe una fine tragica purtroppo, assassinato dal suo amante il 6 Agosto 1996, dimenticato dal fashion system già molti anni prima di quella data. La sua vita fu contrassegnata da alterne vicissitudini, in cui rientrarono le dipendenze da droga, alcool, fallimenti personali e professionali, ma egli tuttora resta un astro fulgido nell’universo della moda, dove è stato uno dei più talentuosi apripista della modernità.
Se c’è un designer del presente che più ce lo richiama per versatilità, questo è forse il francese Hedi Slimane, il quale con la sua ansia di spaziare in ambiti tanto diversi – dalla moda all’arte, dalla musica al cinema, dai video alla fotografia – ha iniziato a compiere una ridefinizione dell’identità (soprattutto maschile) attraverso l’abito, rivalutando antichi valori e allo stesso tempo generando inedite combinazioni semiotiche per valorizzare il corpo. Di qui la peculiare attenzione per la sartoria, la personalizzazione, l’esclusività. Sembra, in effetti, voler evitare ogni connotazione temporale, ogni polarizzazione tra “classico” e “avanguardia”, per adottare registri e linguaggi accomunati solo dalle regole del bel vestire. Questa è la moda “borderline” della contemporaneità, che Ossie Clarks avrebbe interpretato da par suo, facendo cadere per primo i confini tra techne e costume, tra due stati mentali che lungi dal contrapporsi devono mischiarsi sempre più.