Donna con la gonna e la dignità
Sii bella e stai zitta. Citando il “tostissimo” titolo del celebre libro della filosofa Michela Marzano, torno sul tema della mercificazione del corpo femminile nella moda e non solo, di cui molto si è scritto anche in questo sito negli ultimi tempi. Mi chiedo a che punto siamo oggi di quella “emorragia identitaria” che ha investito noi donne. E soprattutto mi chiedo se sia realistica l’ipotesi, avanzata da qualche cultore di Jean-Jacques Rousseau, che la mortificazione della dignità femminile corrisponda al tramonto della democrazia stessa.
A guardarsi intorno, si ha da un lato l’impressione che siamo irreversibilmente finite nella spirale di quel paradigma di riferimento detto “modello delle veline”, ovvero delle donne schiave consenzienti dell’occhio maschile, ossessionate dal culto di un’esteriorità forgiata a colpi di interventi estetici, cosmetici invasivi, sport ultra-modellanti, diete folli e via esagerando; dall’altro si coglie qualche segnale nella direzione dello sfondamento del metaforico “tetto di cristallo”, che va dalle proposte di legge per introdurre le quote rosa obbligatorie nei Consigli d’Amministrazione delle grandi aziende e, in generale, per istituzionalizzare la presenza femminile nella vita pubblica in virtù degli oggettivi meriti e qualità delle donne, alle tante iniziative socio-culturali promosse dai migliori intellettuali ed agli eventi organizzati dal comitato “Se non ora quando”, che hanno portato in piazza milioni di persone a chiedere il rispetto del fisico e della psiche femminili, soprattutto da parte di una televisione che è stata fra i principali responsabili dell’umiliazione del corpo, smembrato, reificato e trasformato in mero oggetto sessuale.
Penso anche al j’accuse contro l’abuso mediatico della fisicità femminile lanciato da Lorella Zanardo col bel documentario “Il corpo delle donne”, che – oltre a denunciare – propone come via d’uscita lo stimolo della consapevolezza delle donne medesime, ma soprattutto vede nell’educazione dei giovani ad una visione critica dei mezzi di comunicazione la vera “rivoluzione silenziosa” in grado di restituire alla donna la sua piena dignità ed il suo valore personale.
Voglio citare anche la recente coraggiosa scelta contro la strumentalizzazione pubblicitaria del corpo femminile – a cui pochi media e ancor meno addetti del fashion system sanno resistere – compiuta dal settimanale “Donna Moderna”, le cui direttrici Patrizia Avoledo e Cipriana Dall’Orto, hanno deciso di dire addio alle top model in copertina per far posto alle donne “comuni” di ogni età, mamme e mogli, casalinghe e impiegate, studentesse e imprenditrici, con i loro difetti ed i loro problemi quotidiani.
Resto, invece, perplessa davanti alla mostra che fino al 24 Luglio la Tethys Gallery di Firenze dedica al fotografo di moda inglese Harri Peccinotti, uno con l’obiettivo sempre puntato sui dettagli sessuali del corpo delle modelle, per coglierne la carnalità spinta e per dissolvere – a suo dire – l’immagine della donna “angelo del focolare” imperante fino ai primi anni ’60. Fu Peccinotti, in effetti, il primo a pubblicare un seno nudo e poi a scatenare un vero shock col calendario Pirelli che immortalava l’erotismo selvaggio di donne “al naturale”, ritratte in pose che ne esaltavano particolari ad alto tasso “emozionale”, per non dire provocatoriamente hard: labbra carnose rosso ciliegia, capezzoli turgidi, cosce con sigaro accanto, ciondoli allusivi tra i seni, tacchi a stiletto, unghie peccaminose, ecc.
Forse qualcuno è ancora convinto che l’emancipazione femminile debba necessariamente passare per la volgarizzazione del corpo, per la banalizzazione del sesso, per la “macelleria” patinata. E’ questa l’idea di donna moderna che certa gente insiste a coltivare? Ma è tempo di cambiare, signori!
La ripresa economica, politica e morale di un Paese come l’Italia ha bisogno anche e soprattutto dell’intelligenza emotiva delle donne nella loro integralità, che vanno sempre più coinvolte nei processi decisionali e poste in ruoli chiave. La vera libertà, come cantava Giorgio Gaber, è partecipazione di tutti. Ma come si fa a partecipare democraticamente, se nell’immaginario collettivo “dopato” da decenni di “cattiva maestra televisione”, passerelle degradanti, pubblicità deliranti, biechi diktat maschilisti, continua a dominare uno stereotipo che toglie dignità alla creatura umana e se basta uno sguardo per prolungare la sudditanza del corpo (e della mente)? Forza, donne, indigniamoci davvero! Ma nello stesso tempo, lavoriamo per educare noi stesse e gli altri al rispetto di tutti e di ciascuno.