Donne Pari
“Essere dalla parte delle donne vuol dire lottare per costruire una società egualitaria, in cui essere uomo o donna sia «indifferente», non abbia alcuna rilevanza. Non perché essere uomo o donna sia la stessa cosa, ma perché sia gli uomini sia le donne sono esseri umani che condividono il meglio e il peggio della condizione umana” ha affermato la filosofa Michela Marzano. La questione femminile, in fondo, è racchiusa tutta in queste parole. Solo nel 2021 la città di Milano, considerata una delle più avanzate ed emancipate d’Italia anche culturalmente, ha dedicato una statua ad una donna – Cristina Trivulzio di Belgiojoso, eroina risorgimentale – e questo la dice lunga sullo sforzo ancora da compiere per realizzare una società più equa che garantisca pari opportunità, restituendo alle donne anche spazi pubblici, ovvero luoghi di condivisione esperienziale e valoriale.
L’insigne Cardinal Gianfranco Ravasi è solito parlare di “culture femminili” intese non come “antropologicamente diverse” da quelle maschili, ma come “sguardo con caratteristiche proprie, specifiche delle donne, sul mondo e sulla vita; come atteggiamento”. Oggi, più che la politica, sono soprattutto l’arte e la cultura a rendere omaggio alla dimensione femminile basata sull’esperienza. Si pensi alla mostra sul design femminile proposta dalla Triennale di Milano qualche anno fa, che pur senza affrontare di petto la questione del gender, ha inteso valorizzare la progettualità muliebre marginalizzata nel ‘900, celebrando la donna come soggetto inventivo di una progettualità meno autoritaria e apodittica, più spontanea e dinamica.
In effetti, quella del lavoro è una sfera in cui le donne possono esprimere al meglio la loro “sovranità” (per richiamare l’opera della filosofa Annarosa Buttarelli, una delle più profonde pensatrici della differenza sessuale), la loro personalità e le loro potenzialità valorizzando le proprie doti peculiari. Voglio citare al riguardo un’altra mostra: “Mani femminili. Il lavoro delle donne per la storia della moda a Venezia nei secoli XVI-XVIII”, svoltasi nella città lagunare una decina d’anni fa, organizzata dall’Archivio di Stato in collaborazione con la Biblioteca Nazionale Marciana, il Centro Tedesco di studi veneziani e l’Assessorato alla Cittadinanza delle Donne e alle Attività Culturali del Comune di Venezia. Come ha scritto nel catalogo Raffaele Santoro, “le forme del lavoro sociale femminile, proprio in quanto tale, rivelano l’intima essenza di una qualsiasi aggregazione sociale, dicono tanto sui rapporti fra uomini e donne, ma sugli stessi rapporti fra gli uomini, e sulle loro caratterizzazioni nel senso di consuetudini giuridiche che discendono da rapporti più profondi nel grembo della società, i quali proiettano la loro ombra ben oltre il periodo storico nel quale sono indagati”. Iniziative come queste dedicate alla pratica delle donne nel lavoro e nelle relazioni sono un invito concreto alla riscoperta di una maniera più umana, e al tempo stesso più poetica, di guardare al mondo.
Il tema della valorizzazione del talento femminile è di grande attualità in ogni organizzazione, non solo perché si tratta di una capacità sovente sotto-utilizzata, ma anche perché gli studi sul fenomeno sono ancora in fase esplorativa. Secondo i dati ISTAT, di fatto, in Italia solo 1 donna su 2 lavora e il World Economic Forum ha stimato un secolo il tempo necessario per superare questo ampio gap (Global Gender Gap report 2020). Nel nostro Paese in particolare si riscontra: una minore presenza di donne in posizioni di rilievo, un profondo divario a livello di stipendi, inferiori del 20% rispetto a quelli dei colleghi uomini, ed una maggiore precarietà (il 98% di chi ha perso lavoro con Covid è donna – Fonte: Istat). Secondo il Gender Gap Report 2020, l’Italia si classifica alla 76° posizione per disparità di genere rispetto ai 153 Paesi esaminati. Accrescere gli sforzi per migliorare l’accesso delle donne a condizioni di lavoro con la stessa dignità di quelle maschili rappresenta non solo un imperativo morale, ma anche una fondamentale opportunità per promuovere uno sviluppo sostenibile e inclusivo. Le discriminazioni annichiliscono risorse, sciupano e mortificano il talento umano, acuiscono le tensioni sociali e le disuguaglianze. Uno studio di Bain & Company del 2021 dal titolo “L’Italia non è (ancora) un Paese per donne” mostra chiaramente la disparità di trattamento e di opportunità professionali tra uomini e donne. È sufficiente citare poche evidenze emerse dalla ricerca: le donne hanno il 50% di possibilità in più di perdere il lavoro rispetto a un uomo; solo 1 CEO su 10 è donna; a parità di impiego e anzianità le professioniste hanno solitamente uno stipendio del 20% inferiore a quello dei colleghi uomini e in alcuni casi, il gap arriva al 40%; in politica (Parlamento/Governo) le donne sono circa 3 ogni 10. Il rapporto di Bain & Company ha anche rilevato come le donne siano maggiormente soggette alle molestie sul lavoro (1 su 5 in media). L’epidemia da Covid-19 ha contribuito a peggiorare il quadro, portando alla perdita di 101.000 posti di lavoro a fine 2020, di cui ben 99.000 coperti da donne! Lo studio si conclude con questa call to action: “Cosa vogliamo fare? Chiederci se dobbiamo o possiamo fare qualcosa è superfluo. Certo che dovremmo. Certo che potremmo! Ma lo vogliamo? Lo vogliamo davvero? E allora, ciascuno di noi nell’insieme dei ruoli che ci appartengono – uomo, donna, collega, compagno, superiore, mentor, CEO, amico, amica, madre, padre, …. – su cosa si impegna (ancora di più) da domani?”.
Nel mondo della moda sono presenti diverse donne in posizioni apicali (Alberta Ferretti, Fendi, Prada, Versace, solo per citare alcune aziende) – siano esse imprenditrici, top manager, membri di organi sociali – che rappresentano con le loro storie ed esperienze di successo autentici modelli di ispirazione per tutto il genere femminile. In un comparto in cui l’uguaglianza di genere è per lo più ancora un bias, sono esempi virtuosi – talvolta audaci e visionari – di affermazione del potere femminile in contesti multiformi e con approcci personali. Il tratto che accomuna tutte è forse il fatto di non accettare sovrastrutture e di sfidare schemi precostituiti e preconcetti, perseguendo l’autonomia e la solidità sociale, oltre che finanziaria, delle loro aziende. Alcune di esse operano in imprese familiari, la cui natura sembra essere la più adatta a offrire opportunità sia di posizioni di comando che di equilibrio tra responsabilità e famiglia alle persone capaci indipendentemente dal genere.
Per accrescere la presenza femminile nelle organizzazioni aziendali, qualche passo è comunque stato fatto anche da parte dello Stato, favorendo l’inclusione/diversità come elemento distintivo delle imprese, ovvero garantendo pari opportunità e valorizzando il capitale umano nel suo complesso. Ne è un esempio la certificazione per la parità di genere decollata a luglio 2022, che ha concesso benefici fiscali e vantaggi nell’ambito degli appalti alle imprese in grado di impegnarsi sul fronte della promozione dell’uguaglianza. Su questo tema anche il welfare è fondamentale (defiscalizzazione, incentivi alla flessibilità, smart working, congedi parentali, supporto ai nidi d’infanzia, sostegno a start-up femminili, ecc.).
Come ha affermato l’economista Paola Profeta dell’Università Bocconi dove dirige anche l’Axa Research Lab on Gender Equality, autrice tra l’altro di “Parità di genere e politiche pubbliche. Misurare il progresso in Europa”, “E’ sempre più evidente che la rinascita dell’Italia deve partire dalle donne, dal riconoscimento del valore della leadership femminile e da politiche che facciano della parità di genere l’obiettivo improrogabile”.
Per tornare alla filosofa Buttarelli e alla sua fondamentale opera “Sovrane. L’autorità femminile al governo” (Il Saggiatore), vorrei condividere il suo concetto di contributo delle donne alla vita sociale che scaturisce dal legame con le ragioni intrinseche e costanti della vita e si manifesta in particolare in quello che Hannah Arendt ha definito “amore per il mondo”, ovvero il prendersi cura dei legami con cui si tesse la trama della convivenza, affrontando i conflitti in modo equilibrato e rispettoso dell’ordine cosmico. Per la Arendt il rapporto tra pubblico e privato è assimilato a quello tra la luce “aspra” e “la penombra che rischiara la nostre vite”.
Non è una mera questione in seno al dibattito femminista, ma investe l’ambito politico tout court. Dove si è arenata la spinta al cambiamento? Consegno la domanda ai lettori e qui vorrei concludere con una frase profondamente saggia, intelligente e dignitosa di Indira Gandhi: “Gli uomini ignoreranno sempre la loro vera natura finché non lasceranno le donne libere di realizzare la propria personalità”.