Duemila anni ai nostri piedi e …..altro al V&A Museum
Alle scarpe, croce e delizia di ogni donna, la capitale inglese dedica due mostre in contemporanea. Mentre “Life on Foot”, al Design Museum fino al 1° Novembre, illustrava il processo creativo della calzatura attraverso il caso del celebre marchio spagnolo Camper, “Shoes: Pleasure and Pain”, al Victoria & Albert Museum fino al 31 Gennaio 2016, tocca più da vicino il mondo della moda e del costume, raccontandone l’evoluzione non solo estetica e tecnica, ma anche socio-culturale. Attraverso 200 modelli provenienti da tutto il mondo, molti dei quali mai esposti prima, la mostra ripercorre l’intera storia delle scarpe suddivise in sezioni intitolate: Trasformazione, Status, Design, Progettazione e Futuro.
Dalla scarpetta di cristallo di Cenerentola alle babbucce orientali con punte smisurate, dalle pianelle veneziane con zeppe di 50 cm alle scarpe di Madame de Pompadour con il tacco fissato in mezzo alla suola, dall’Armadillo Shoe di Alexander McQueen, la prediletta da Lady Gaga, ai vertiginosi platform blu Super Elevated Gillies di Vivienne Westwood (che fecero ruzzolare in passerella persino Naomi Campbell), dalla Ballerina Ultima di Christian Louboutin con tacco da capogiro alle scarpe disegnate dall’archi-star Zaha Hadid con zeppa alta 20 cm, l’esposizione londinese evoca mondi distanti nello spazio e nel tempo, che quasi sempre tuttavia riconducono alla seduzione e al feticismo.
L’evento allestito al Victoria & Albert Museum riesce comunque nell’intento di rappresentare il Piacere e la Sofferenza che da duemila anni provoca l’indossare scarpe “belle e impossibili”, già a partire dall’oggetto più antico esibito in mostra: una calzatura egizia originale (sandalo ornato di foglie in oro puro). “Le scarpe sono veri rilevatori della personalità di chi le indossa; veri oggetti d’arte, splendidi, una sorta di scultura, indicatori dello status sociale, dell’identità, dei gusti e anche delle preferenze sessuali”, ha affermato la curatrice Helen Persson provando a spiegare cosa si cela in una scarpa.
La mostra, organizzata con il supporto di Clarks e in collaborazione con Agent Provocateur e Worshipful Company of Cordwainers, si sofferma anche sulle attuali tecnologie costruttive che permettono di realizzare forme sempre più estreme e audaci, non solo da un punto di vista artigianale, ma anche di design e ingegneria.
Il percorso espositivo è stato concepito per offrire al visitatore la possibilità di leggere la storia racchiusa in ogni calzatura, da chi l’ha indossata al tempo in cui è stata creata: basta osservare le preziose pantofoline in argento e oro provenienti dall’India dell’800 o le scarpe da giorno in seta e pelle di Roger Vivier per Christian Dior (1958) o le scarpe-culto di Louboutin con le iconiche suole rosse o ancora quelle di Caroline Groves (incantevole il modello “Pappagallino” in pelle, seta, argento e piume).
Insomma, l’argomento scarpe oggi è più che mai sentito, tanto che ha tenuto banco all’ultimo Festival del Cinema di Cannes, dove ad alcune signore con tacchi bassi è stato vietato l’ingresso via red carpet alle proiezioni di gala (il caso si è addirittura meritato il titolo di “Flatgate”). Evidentemente ciò che portiamo ai piedi è una sorta di mania che attraversa le epoche e che riguarda anche gli uomini (anzi, di più)… Il tagliente Karl Kraus, a proposito di questa ossessione, scriveva: “Non c’è persona più infelice del feticista che brama una scarpa da donna e deve accontentarsi di una femmina intera”.
Quest’estate il Victoria & Albert Museum ha voluto ospitare anche un’altra intrigante mostra, il cui titolo è una domanda: “What is luxury?”. L’evento, programmato fino al 27 Settembre, offre molteplici risposte individuando alcune caratteristiche oggettive del lusso nei secoli (ammettendo comunque che si tratta di una questione soggettiva e personale) e le dimostra con una carrellata di 100 oggetti unici e straordinari.
Tra i pezzi storici esposti, vi sono una corona d’oro portoghese con volute rococò, decorata con diamanti, rubini e smeraldi, una preziosa stola ecclesiastica veneziana del Seicento, una carrozza d’oro indiana, una tabacchiera d’oro del Settecento onusta di gioielli, appartenuta al re di Prussia Federico il Grande. Ancora più notevoli gli oggetti contemporanei, ben esemplificati dal cappello “Il Vello d’oro” dell’italiano Giovanni Corvaja, il quale per anni ha perfezionato una tecnica che permette di filare l’oro in sottilissime fibre: per realizzare l’articolo in mostra gli sono servite ben 2500 ore di lavoro e 160 chilometri di filo d’oro. Altrettanto unica e laboriosa appare la creazione del coreano Chung Hae-Cho: cinque ciotole di lacca fabbricate sovrapponendo pazientemente strato dopo strato di purissima lacca senza un sostegno o una struttura interna. Non sono meno impressionanti altri pezzi recenti, come lo spinotto per cellulari in oro di Aram Mooradian, dalla serie “A Comprehensive Atlas of Gold Fictions”, la sella Talaris di Hermès, la cui parte esterna in pelle è cucita a mano e presenta una struttura interna in titanio e fibra di carbonio, studiata per una distribuzione ottimale del peso del cavallerizzo; mentre il lampadario di Studio Drift racchiude in bolle di vetro dei fragilissimi soffioni di estremo realismo, e il meccanismo dell’orologio Vacheron Constantin è un capolavoro tecnologico che tuttavia viene prodotto a mano da uno specialista della precisione, a cui ogni pezzo costa anni di lavoro.
In sostanza, oggi il lusso unisce il tocco umano, l’abilità artigianale e la tecnologia più avanzata. Interrogarsi sul concetto di lusso dal punto di vista fisico e culturale significa però cercare anche di capirne il futuro. In effetti la mostra londinese immagina un domani in cui materiali e oggetti ora considerati ordinari diventeranno rari, entrando quindi nella sfera del lusso. Così, nel 2052 la plastica verrà scolpita a mano dando vita a pezzi unici di arredamento dall’aspetto glaciale; i capelli umani verranno tessuti e ingabbiati nella resina per creare mobili esclusivi; un sassolino verrà coperto di oro diventando un oggetto prezioso anche se inutile. L’articolo forse più bizzarro e straniante è “Time for yourself”, un astuccio che a prima vista sembra un elegante kit per esploratori, ma in realtà è l’esatto contrario, poiché gli strumenti contenuti servono per perdersi: un orologio senza quadrante, una bussola che indica direzioni a caso per consentire di vagare senza meta e senza fretta.
Alla fine, il vero messaggio di questa mostra è che il lusso più importante è e sarà sempre più il tempo.