“¦E la festa continua”¦
Esistono modi di vestire che sono talmente “classici” e “intramontabili” che non ci stanchiamo mai di annoverarli tra ciò che definiamo “di moda”, pur essendo, la moda stessa, mutevole per sua essenza. Sono quelli che si avvicinano a quella parola così magica e controversa che è “stile”.
Abbiamo già detto tante volte che dedicarsi a ricercare con attenzione abiti particolari, accessori originali, colori fuori dalla consuetudine e così via, può portare a raggiungere un certo grado di eleganza. Arrivare invece a far nascere – mescolando e rimescolando quegli stessi abiti, quegli stessi accessori, quegli stessi colori – uno stile che duri per sempre, dando un “imprinting” a ciò che verrà, è sicuramente cosa di non facile realizzazione.
Ecco, tra quei capi che vorrei segnalare come depositari di qualcosa che sopravvive a tutte le mode e a tutte le tendenze – in un momento dell’anno in cui, tra l’altro, il sapore della tradizione ci affascina e ci permette di fermarci un po’ di più ad ascoltare voci interiori e a vivere atmosfere calde e vagamente nostalgiche-, metterei tra i primi posti quelli in tartan, madras o scozzesi.
Non più di due settimane fa, mentre con paziente entusiasmo mi apprestavo a decorare la casa con i vari simboli del Natale, mi sono capitate tra le mani alcune vecchie “Barbie” di quando le mie figlie erano piccole. Tra tutte, tre in particolar modo avevano un preciso significato: l’avvicinarsi delle feste, con tutta la gioia e la trepidazione legate ad esse. Le ho guardate e riguardate – così belle, fulgide e sfavillanti nei loro vestiti adatti all’occasione – e mi sono detta che una donna, cent’anni fa come oggi come fra cent’anni, potrebbe vestirsi così, senza cambiare un solo nastro o un solo tono di colore.
Il rosso, il verde, l’oro, il bluette, mescolati insieme a creare intrecci e quadri. La croccantezza del taffettà, la dolcezza del velluto a contrasto, il bagliore dei fili luccicanti, quel sapore di nonne e di mamme “¦.. e poi di figlie.
Quelle gonne ricche e lunghe dal fruscio irresistibile che, una volta finite le serate trascorse a brindare con gli amici e i familiari, si potranno accostare, nei mesi a venire, a splendidi cardigan dall’aspetto rustico anziché a corpetti di satin o a piccoli scalda-cuore di angora verde-bottiglia che ora ben si ambientano tra ghirlande e rami di pino.
Al contrario, quella camicia in madras con il rosso a fare da sfondo e un prepotente jabot a fare da protagonista, renderà frivolo anche il più serio tra i pantaloni o romantica anche la più austera tra le gonne. Tolto lo jabot e slacciato il collo, quasi quasi la si potrà usare per una gita in campagna.
Simile ad una fiaba rimodernata, il solito tubino nero rinascerà a nuova vita se sottolineato da una cintura scozzese, o da un cerchietto scozzese, o da una ballerina scozzese, o da un bracciale scozzese “¦”¦
E, meraviglia delle meraviglie, due o tre spille retrò a tema per enfatizzare, abbellire, ornare. In questi giorni, in una delle più belle biblioteche milanesi, si tiene una mostra proprio su quelle natalizie, quasi tutte americane, quasi tutte anni cinquanta. Quasi tutte evocatrici di sogni. Tanto belle da sembrare finte. Pare che Marc Jacobs abbia detto, dopo una sfilata, che è proprio nell’ossessione delle cose nuove che non si trova più il nuovo perché sempre più ciò che è nuovo, non è nuovo per niente “¦”¦. Gran bel gioco di parole.
Tornando al nostro tema, direi che il desiderio di tartan lo si potrà soddisfare anche con una semplice rifinitura come il bordino di una t-shirt, il cinturino di un orologio, il piccolo laccio di una scarpa. Un collant non troppo appariscente, un gilet sotto un semplice blazer. E poi le tradizionalissime sciarpe che, eclettiche e camaleontiche, trasformano e diversificano ogni capo cui esse vengono accostate. La storia del costume ha tanto da raccontarci a proposito dei clan scozzesi che hanno dato il via a tutto quel filone da cui poi la moda ha così attinto.
Si è notato quest’anno, sulle passerelle e tra gli addetti ai lavori, un istinto a rispolverare, non so come dire, una sorta di “album dei ricordi”. Un che di “già visto” ma che, proprio per questo, dà sicurezza e conforto. Un’attitudine classica nel vestire che però non disdegna di strizzare l’occhio a dettagli divertenti. Un invito ad osare ma prendendo precauzioni, senza farsi sopraffare da orpelli che potrebbero stancare subito o per lo meno presto. Quasi tutti hanno cercato di tenersi lontani dall’essere edonisti impenitenti o snob senza ritegno.
E allora, arricchita da ciò, ho provato ad immaginare alcuni dei capi delle sfilate attuali indosso a famose icone di stile che hanno fatto da punto di riferimento a generazioni di donne, adattando alle necessità di oggi l’eleganza, il decoro e la sobrietà tanto in auge ieri. E viceversa. E ho provato ad immaginare i meravigliosi vestiti di quelle bambole tolte dalla soffitta trasformati e rinvigoriti. E ho provato e riprovato. E ho capito che tutto andava bene così com’era e che tutto ciò che ha lasciato una testimonianza è ancor oggi testimone di qualcosa. Ci sono dei tessuti, dei colori, delle fogge che, in modo intercambiabile, passano trasversalmente da un’epoca all’altra, da un genere all’altro, da una moda all’altra, da uno stile all’altro. Senza mai paura di sfigurare.