Effetto Slimane in Saint Laurent
Saint Laurent e basta. O meglio, Saint Laurent Paris. Così si chiama oggi la storica griffe avviata nel 1961 da quel couturier visionario e geniale che fu Yves, a cui la moda deve molto del concetto di eleganza contemporeo. La recente “rivoluzione” avvenuta nella gloriosa maison francese (ora parte del gruppo Kering di François-Henri Pinault), è da attribuire al nuovo direttore creativo Hedi Slimane, il cui percorso di vita e di lavoro presenta molti punti di tangenza con quello del fondatore, a cominciare dagli esordi professionali presso Dior e dalla bruciante passione per l’arte, per non dire delle comuni origini nordafricane (nato ad Algeri l’uno, figlio di un tunisino l’altro).
Succeduto a Tom Ford e Stefano Pilati alla guida del prêt-a-porter femminile SL, Slimane in pochi mesi ha stravolto, oltre al nome, lo stesso modus operandi del brand transalpino entrato nell’Olimpo della moda, decidendo innanzitutto di non trasferirsi a Parigi, ma di svolgere la sua attività di “fucina stilistica” da Los Angeles, dove risiede. In effetti, da quando al timore creativo è asceso il baldo 45enne Hedi, il mood del marchio ha acquisito un sapore decisamente più americano. Basta pensare al suo debutto a Parigi nell’Ottobre 2012, allorché volle portare in passerella un’estetica androgina e vagamente western, che comunque non sarebbe dispiaciuta a Yves, foriero come nessuno di una visione moderna e avanguardista dello stile e della femminilità.
Col cambio di nome, di logo, di sito, di stile, di immagine, di forma mentis tout court – aperta a nuovi concetti (si vedano i rapporti intensi col mondo della musica, gli store rinnovati nel design, i legami provocatori con l’arte concettuale…) – la griffe Saint Laurent targata Hedi Slimane ha dato la scalata ai mercati mondiali, macinando performance da record, malgrado qualche critica non proprio soft da parte della stampa di settore più “purista” ed emunctae naris (appunti che l’energico direttore creativo ignora pacificamente, alla luce dei risultati commerciali).
Possiamo parlare di “stile del futuro” incarnato dal nuovo Saint Laurent? Forse sì, a parere di molti buyer, che hanno apprezzato molto l’ultima sfilata parigina A/I andata in onda nei giorni scorsi, ispirata all’opera dell’originale artista californiano John Baldessari, maestro della cosiddetta “appropriazione”; una collezione tipicamente “slimaniana” con forti richiami alla “cultura giovanile” della Swinging London (n.d.d:i i simboli del movimento sono stati i Beatles, i Rolling Stones, Who, e nel campo della moda la minigonna) degli anni ’60. Obiettivo: combinare il potenziale narrativo delle immagini con il potere associativo del linguaggio entro i confini della creazione, tanto di moda quanto di arte. Più facile a vedersi (e a indossarsi) che a dirsi.
Una linea di continuità con l’antico Maestro può ravvisarsi nella volontà di Slimane di puntare su un’identità muliebre giocata su una rinnovata sensualità emergente dai tagli dei capi e dai materiali impiegati. Così come Yves riusciva a rendere moderni e iperfemminili capi quali lo smoking, la sahariana, il tailleur pantalone, il giovane Hedi, più che mettere mano all’archivio storico, reinventa i codici di comunicazione, sperimentando con gusto, senza mai parlare un idioma altero di nicchia. Al contrario, assecondando più che mai le direttive di marketing del patron Pinault, si esprime in una lingua più semplice e rassicurante, proponendo capi facili, pratici e desiderabili.
Seguiremo attentamente, dunque, la parabola evolutiva di questo ottimo stilista, con la speranza che – Kering permettendo – possa rimanere sempre coerente e fedele a se stesso, a quel suo “spirto guerrier” fucina di creatività squisita, e non si lasci troppo deviare dalle sirene di una comoda vendibilità (alla lunga avvilente per lui e, alla fin fine, un probabile boomerang per i conti stessi del colosso francese).