Eleganza in salsa napoletana
La classica sartoria napoletana, la migliore al mondo secondo l’autorevole “Financial Times” e non solo, dopo aver consolidato le sue posizioni nei Paesi della prestigiosa clientela storica (dagli USA al Regno Unito, dalla Russia al Medio Oriente) sta ora puntando sull’upper class dei nuovi mercati “affamati” di bellezza, qualità e cultura italiane (Cina, Brasile, Corea, Singapore ed Estremo Oriente in generale).
Il fatto è che gli imprenditori tessili partenopei, molti dei quali operano ancora artigianalmente in ogni fase, stanno dimostrando una non comune capacità di raccogliere la sfida commerciale globale in termini di creatività, flessibilità, innovazione, formazione, senza trascurare, anzi esaltandola, l’eccellenza delle antiche tecniche manifatturiere, a cui è coniugata la scelta di materie prime di assoluto pregio. Anche gli investimenti in distribuzione e comunicazione, così come il perseguimento di un buon rapporto qualità/prezzo, stanno premiando le aziende napoletane a livello internazionale, malgrado il perdurare della crisi economica ed i continui tentativi di “cannibalizazione” del settore da parte della grande industria.
Forse non è il caso di parlare di “nuovo Rinascimento napoletano”, come ha entusiasticamente fatto taluno accostando la vitalità imprenditoriale odierna con quella di un secolo fa, ai tempi della Belle Époque, ma è certo che nel capoluogo campano e nel suo distretto stanno proliferando iniziative interessanti legate alla moda, anche dal punto di vista culturale.
In attesa della grande mostra dedicata a Gianni Versace che si terrà in città l’anno prossimo in occasione del ventesimo anniversario della scomparsa del celebre stilista (l’evento, curato da Sabina Albano, vedrà protagonista il più importante archivio al mondo di abiti e accessori Versace, confluito a Napoli nel corso degli ultimi lustri grazie al collezionista Marco Antonio Caravano, rapito dall’opulento barocchismo del Maestro sin dalla giovinezza), si è conclusa da poco alla Fondazione Mondragone (sede del Museo del Tessile e dell’Abbigliamento “Elena Aldorandini”, nato per promuovere l’arte tessile antica e contemporanea in Campania) una curiosa mostra dedicata ai “Magazzini Novità. F.lli Mele, Cilento e altre storie”, la quale ha celebrato le imprese partenopee che tra fine Ottocento e inizio Novecento si sono sviluppate con successo, arrivando a dettare le tendenze a livello internazionale.
Curata da Alessandra Cirafici e Caterina Fiorentino, l’esposizione ha voluto raccontare la storia dei Magazzini Mele, ispirati ai grandi magazzini francesi Lafayette e Le Bon Marché, presentando alcuni manifesti storici – oggi conservati al Museo di Capodimonte – abiti, accessori e cataloghi provenienti dalla Fondazione Emiddio Mele, dall’Archivio della sartoria maschile Cilento, atelier museale punto di riferimento sicuro dello stile napoletano nel mondo (tant’è che il Ministero dei Beni Culturali lo ha decretato di interesse storico e culturale nazionale) e, infine, dalla stessa Fondazione Mondragone.
Oggi l’alta sartoria napoletana, costituita da una rete di piccole realtà operose disseminate sul territorio, è rappresentata dai grandi nomi di Kiton, Attolini, Rubinacci, Marinella, alfieri del miglior made in Italy nel mondo fondato su eleganza e tradizione.
A costoro ormai non basta produrre capi ineccepibili, must-have per i potenti della Terra, ma sta cuore la ricostruzione di un’identità sartoriale superiore, per cui si sono volti alle nuove generazioni. Ad esempio un’azienda storica come Kiton, avviata nel 1968 da Ciro Paone ad Arzano, che impiega 350 sarti e vanta un fatturato di 115 milioni di euro nel 2015, ha aperto una propria scuola in cui forma gli artigiani di domani, coloro che un giorno terranno alta la bandiera dell’eccellenza sartoriale hand-made, la perfezione estetica, lo stile e il gusto del benvestire italiano (in un periodo in cui trovare lavoro, specialmente al Sud, non è impresa facile, tutti gli studenti del corso trovano occupazione rapidamente).
Una menzione speciale comunque meritano i numerosi micro-laboratori del territorio che con le loro egregie maestranze, senza clamore mediatico, realizzano ogni giorni modelli che sono capolavori, spesso per conto-terzi.
Ebbene, quello che forse ancora manca agli imprenditori tessili napoletani per assurgere alla perfezione è la capacità di “fare squadra” superando l’atavico particolarismo – pur nel rispetto della legittima competizione – per creare sinergie, economie, idee-plus e per portare avanti tutti insieme le proprie istanze, progetti che uniscono moda, arte, cultura, ovvero condividere gli stessi valori per il bene comune.
Non sarà facile generare una mentalità associativa, ma il successo a lungo termine del business tessile partenopeo dovrà passare anche di qui, vincendo ogni paura.
Del resto perfino Totò, che fu la quintessenza della napoletanità, affermava: “Ma quale paura? Nel mio vocabolario non esiste questa parola, a meno che non si tratti di un errore di stampa”.