EOLIE: le isole degli dei
Scrutandole all’orizzonte dal mare, ti chiedi se siano vere o un miraggio. In quella vertigine di azzurro e di smeraldo inondata dal sole, avverti l’eco di miti antichissimi e ti senti quasi sopraffatto da tanta bellezza, odorosa di ginestra e capperi. Le Eolie, chiamate anche Lipari, sono un arcipelago di sette isole (più alcuni isolotti e monti sottomarini) disseminate a forma di ipsilon nel Mar Tirreno – a nord della Sicilia (di fronte alla costa messinese), lambite da acque cristalline ed un cielo terso, punteggiate di case bianche, innervate di vulcani ancora attivi, artefici di quel paesaggio tanto originale, fatto di spiagge di lava nera e finissima sabbia bianca, architettonici faraglioni e cale affascinanti, fondali “caraibici” e fantasmagoriche rocce di pomice. Isole vaganti, le soprannominavano gli antichi. Qui dimorava Efesto, dio del fuoco, che nel ventre di Vulcano forgiava armi per numi ed eroi; ma questo era soprattutto il regno di Eolo (donde il nome Eolie), domatore dei venti, che aveva casa a Lipari, dove ospitò Ulisse donandogli il famoso otre. Una leggenda narra poi che le sette “perle” eoliane erano gemme di un diadema posto in capo alla Sicilia dagli dei per renderla ancora più bella.
Originate da terribili sconquassi geologici e catastrofiche eruzioni vulcaniche succedutesi in milioni di anni, le Eolie conservano le vestigia del loro Big Bang genetico nel vitalismo dei due vulcani (Stromboli e Vulcano), che ancora si esprime con fumarole e fanghi, fonti termali e odore di zolfo, cenere e lava. In effetti, è anche in virtù di questi eccezionali fenomeni che l’Unesco ha proclamato tali isole patrimonio dell’umanità. Abitate fin dai tempi preistorici per l’abbondante presenza di un minerale molto ricercato come l’ossidiana (eruttata dal Monte Pelato a Lipari), oggetto di intensi scambi commerciali, le “sette sorelle” godettero di grande prosperità grazie anche alla loro posizione favorevole lungo le rotte mercantili dei metalli, in primo luogo lo stagno di provenienza inglese. Colonizzate dai Greci nel VI secolo a.C., in epoca romana furono strategiche per il commercio di allume, zolfo, sale. Lipari fu pure teatro di un’aspra battaglia tra Roma e Cartagine nel 260 a.C. Un altro cenno storico lo merita la circostanza per cui l’isola di Vulcano in epoca borbonica fu trasformata in colonia penale per l’estrazione forzata di minerali. Terra di naviganti, pescatori, contadini, commercianti, l’arcipelago nei secoli è stato frequentato anche da pirati, profughi, eremiti, monaci (basti pensare che fu l’abate Ambrogio, nel 1095, ad emanare la charta denominata “Constitutum”, che stabiliva le regole della convivenza civile per tutti gli abitanti, basata su tre elementi fondamentali: la casa, la vigna, la cisterna). Oggi è il turismo estivo a trionfare a tutto campo.
La prima visione a rapirti, salpando da Milazzo, è Vulcano, con i suoi eterni vapori che si alzano dal Gran Cratere, dando all’ambiente l’aspetto di un girone infernale, ingentilito però dalla solarità delle ginestre che trapuntano lo scenario isolano. I suoi pregiati fanghi termali, di cui ogni anno beneficiano migliaia di persone, sono ritenuti curativi per affezioni cutanee, articolari, respiratorie e ginecologiche.
Lipari, il cui nome deriva dal leggendario re Liparo che la governò per primo, ti abbaglia con i fantastici lidi di pomice, pietra lavica leggerissima, coprente quasi un quarto dell’isola. Al suo candore fa da contrasto la nera ossidiana delle Rocche Rosse e della Forgia Vecchia, che conferisce al luogo uno spettacolo di grande suggestione cromatica. Da qui si godono viste uniche, mentre il turismo culturale trova il suo appagamento nel Museo Archeologico Eoliano, uno dei più importanti d’Italia per dovizia di reperti (datati dal 4000 a.C. all’epoca romana), che ha sede nel Castello, la fortezza naturale in cui già l’uomo neolitico trovò rifugio. Vi si ammirano la torre greca del V secolo a.C., quattro Chiese, la Cattedrale e lo splendido chiostro normanno. Lipari, la sola delle Eolie che presenta un assetto urbano tradizionale, è inoltre considerata un paradiso per i sub grazie ai fondali meravigliosi.
Di Salina uno degli angoli più fascinosi è la baia di Pollara, un proscenio roccioso le cui pareti strapiombano in un mare che ha la limpidezza del diamante puro. Verde di vigneti di malvasia e piante di capperi, l’isola si innalza in due vette “gemelle”, alte circa 1000 m ciascuna: Monte dei Porri e Fossa delle Felci. Da vedere nella frazione di Lingua è il Museo Etno-antropologico, che espone una rassegna di strumenti impiegati nelle attività agricole e nella pesca.
Panarea, la più piccola delle Eolie e pure la più antica, aureolata da sette isolotti (Basiluzzo, Dattilo, Lisca Bianca, Lisca Nera, Bottaro, Panarelli, Le Formiche), tesse intorno ai visitatori una trama di richiami naturalistici e letterari, incantando con l’insenatura di cala Junco, le fumide scenografie del Timpone del Corvo e della Calcara, nonché Punta Milazzese, dove restano testimonianze di un villaggio preistorico con capanne a pianta ovale, macine e mortai di pietra.
Nel fumo e nel vento, ecco poi apparire Stromboli, la rotonda, che con i suoi boati e bagliori notturni funge da faro perenne per i marinai, essendo l’unica a vantare un vulcano tuttora in eruzione. Un’oasi di silenzio è, invece, l’attigua isoletta di Ginostra, che si raggiunge solo in barca con un viaggio emozionante fino al piccolo porto di Pertuso.
Distanti in senso proprio e metaforico sono, infine, le due isole di Filicudi e Alicudi, forse ancora refrattarie al concetto di turismo massificato ed ai suoi codici. Qui a regnare è la natura con la sua pace olimpica. Filicudi è nota come l’isola delle felci, perché queste piante nell’antichità vi dominavano, ma deve la sua fama soprattutto alle interessanti grotte (in quella del Bue Marino un tempo abitava la foca monaca), nonché ai resti preistorici.
La selvaggia e silente Alicudi è invece l’isola dell’erica che ricopre copiosamente le alture, in una sorta di Eden pre-adamitico, dove è la voce del mare a far da colonna sonora. E l’asino resta il veicolo per eccellenza in questo luogo ai confini dell’assoluto, che pure ha un certo rilievo archeologico. Da segnalare che il borgo di Bazzina, fino a qualche anno fa spopolato, si è rianimato per merito di alcuni tedeschi amanti della vita frugale, che hanno deciso di trasferirsi nell’ultimo solitario avamposto delle Eolie.
Queste isole hanno sempre ispirato la magia del racconto per immagini e parole a viaggiatori comuni e non, dallo scienziato Déodat de Dolomieu (donde il nome Dolomiti) allo scrittore Alexandre Dumas padre, dall’Arciduca d’Austria Ludwig Salvator d’Asburgo allo scrittore Antonio Saltini, dagli artisti Jean Houel e Gaston Vuillier ai grandi fotografi che tutt’oggi amano “narrare” con i loro scatti tali luoghi.
Tra le mete turistiche italiane più frequentate (anche da personaggi del jet-set internazionale), le Eolie devono gran parte della loro fama al cinema del dopoguerra, che vi ha ambientato importanti pellicole. Per citare qualche esempio: “Vulcano” di William Dieterle, “Stromboli, terra di Dio” di Roberto Rossellini, “Avventura” di Michelangelo Antonioni, “Caro diario” di Nanni Moretti, “Il postino di Neruda” di Massimo Troisi e Michael Radford. Per tacere dei tanti cortometraggi e documentari girati sull’arcipelago.
Quindi le Eolie, il cui fuoco ardente sotto la crosta terrestre sembra propagarsi anche agli abitanti rendendoli molto ospitali, sanno conquistare, oltre che con la loro natura, anche con la cultura, di cui la cucina è componente integrante. Basti pensare che propone sì i celeberrimi capperi, ma pure pregiate olive e Malvasia, pomodori “cunzati”, caponata eoliana, miele di zagare, granite, pasta paradiso con mandorle e cedro, “nacatulli” (sfogliate di mandorle profumate al mandarino e impastate con vino locale), limoncino, liquori ed il tipico amaro “Vulcano”. Così, quando te ne vai dalle Eolie ti resta addosso una sorta di ancestrale stordimento, la sensazione d’un colpo d’ala improvviso che miete la luce ambrata di fine estate, un sibilo venuto dal passato col suono dolce del flauto di Pan che aggioga a quei luoghi del mito, dove “sorridere è vivere come un’onda” (Cesare Pavese, “Dialoghi con Leucò”), e ti riprometti di tornare a perderti nell’immensità di quello spirito terracqueo sospeso tra tra sogno e realtà, tra essere e divenire incessante.