Essere un corpo o avere un corpo?
La visione della bellezza attrae a tal punto che chi la conosce non può più abbandonarla. Il mito di Narciso che non riesce a staccarsi dalla immagine della sua bellezza riflessa nelle limpide acque dei ruscelli, ci insegna che lo specchio è in grado di restituirci l’immagine di noi stessi in cui riconoscerci. Ma come Narciso dobbiamo imparare che l’immagine corporea reclama una penetrazione più profonda, uno sguardo che abbracci tutta la persona. Narciso era bellissimo, ma senza saperlo.
La dea Némesi, per vendicare la ninfa Eco, respinta da Narciso, un giorno lo condusse fino a delle acque, che riflettevano la sua immagine come uno specchio.
Narciso, che non si era mai visto, vinto dall’ammirazione per l’immagine riflessa, non se ne poté più staccare e morì consunto.
Il celebre mito ci introduce direttamente al tema del corpo e della sua immagine. Lo specchio rivela a Narciso com’era il suo corpo visto dal di fuori.
Da una parte, il mito di Narciso ci parla del potere della bellezza: la visione della bellezza attrae a tal punto che chi la conosce non può più abbandonarla. Tuttavia, è proprio lo specchio a tradire Narciso: infatti, egli è vinto dall’immagine di se stesso. Ingannato dall’apparire, diventa incapace di arrivare ad essere.
Prima di specchiarsi, era un corpo senza immagine, inconsapevole della propria visibilità, ora è un’immagine senza corpo, talmente catturata da se stessa da essere incapace di amare.
Il noto motivo dello specchio allude all’enigma del corpo umano. Allo specchio affidiamo un’esigenza di riconoscimento: restituirci un’immagine, ma non esattamente l’immagine oggettiva e reale, quanto l’esteriorizzazione del nostro vissuto corporeo, di come ciascuno vive il proprio corpo.
Riconoscerci nell’immagine dello specchio significa ritrovarsi in quella che riteniamo la nostra immagine rassicurante, quella nella quale abitiamo. Invece, talvolta lo specchio ci sorprende e ci coglie impreparati, quando proietta un’immagine della nostra corporeità vista dal di fuori che non coincide con quella che consideriamo espressiva di noi stessi.
Ciò è dovuto a quella ambivalenza del nostro corpo, definita dai filosofi “la dialettica tra essere-corpo e avere-corpo”. Siamo un corpo e abbiamo un corpo, ma non ci riconosciamo solo nel nostro essere-corpo e il nostro avere-un-corpo non è come il possesso di un oggetto.
Se avere un corpo significa essere visibili ed essere guardati, non essere soltanto corpo reclama che questo sguardo riconosca la realtà della persona tutta intera e non si limiti soltanto alla sua immagine corporea.