Fashion blogs, il nuovo tormentone
La rivoluzione informatica, con i suoi strabilianti e velocissimi progressi, ha radicalmente e definitivamente trasformato il concetto di comunicazione, impregnando dei suoi meccanismi i più disparati ambiti della vita quotidiana.
Il mondo del lavoro, trasversalmente ai diversi settori, ne ha tratto un indiscusso beneficio, immettendo efficienza e celerità in tanti meccanismi che prima di allora, seppur ancorati ai tradizionali e funzionanti mezzi di comunicazione, richiedevano comunque dei tempi di gran lunga maggiori.
Il web non ha toccato però solo il frenetico mondo del lavoro, ma si è insinuato anche nelle vite private dei singoli, tanto da arrivare a parlare nel XXI secolo di Internet addiction, di dipendenza dal web e dai suoi irresistibili tentacoli.
Dopo i siti delle più disparate aziende o lavoratori indipendenti, dopo le riviste on line, dopo le chat e i social network, ecco approdare sulla scena multimediale i blog. Nato come diario personale, in cui condividere opinioni, sentimenti, aspirazioni, tale tipo di portale ha letteralmente invaso il web, arrivando a configurarsi come un perfetto sostituto della comunicazione più tradizionale e anzi circondato da un’aurea di innovatività che ne ha fatto un vero e proprio fenomeno sociale.
Uno dei settori più interessati da tale invasione è stato quello della moda, probabilmente per l’apparente facilità di giudizio o piuttosto per la non sempre condivisibile opinione che tale fenomeno risieda unicamente nella più o meno spiccata capacità di costruirsi un look singolare ed eccentrico.
Ed ecco spuntare un numero indefinito di blog monotematici dedicati al fashion, primo fra tutti il famoso “The Sartorialist”, diretto dal fotografo Scott Schuman, che ha prodotto un’interminabile serie di imitazioni o emulazioni a livello internazionale.
Il Milano Fashion Institute, in data 28 settembre, ha organizzato presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano un convegno sul tema, invitando giornalisti, studiosi, aziende e blogger ad interrogarsi sul significato e sulle ripercussioni sociali ed economiche del fenomeno nell’ambito del sistema moda.
Partendo da un intervento più teorico, guidato dalla professoressa Emanuela Mora e da Marco Pedroni, sono stati proposti degli interrogativi a cui la successiva tavola rotonda ha tentato di dare delle risposte. La cattedra annoverava giornalisti di moda, fra cui Luca Lanzoni e Fabiana Giacomotti, giovanissimi blogger e imprenditori del settore della comunicazione, provenienti da rinomate case di moda del Made in Italy.
Tanti i temi sviscerati nel corso delle tre ore di dibattito, tanti gli spunti di riflessione e tante le critiche mosse a questi nuovi opinion leader del web.
Due sono i fili conduttori emersi dall’incontro: il differente approccio degli accreditati fashion editor ai servizi di moda, scaturito dalle tante nuove idee apportate dai blogger, e la volontà da parte degli ultimi di porsi semplicemente come interlocutori di un vasto pubblico, senza alcuna pretesa di competenza tecnica.
Di sicuro i blog dedicati al tema moda hanno creato un nuovo modo di dettare tendenza, hanno affermato stili che rompono con le patinate copertine dei più noti magazine, hanno insomma apportato una ventata di freschezza nel mondo della comunicazione e dell’editoria virtuale del fashion system.
Altro dato incontrastabile è l’assoluta autoreferenzialità di tali internauti, intenti a pubblicare foto dei loro outfit migliori, corredati di commenti che dovrebbero poi essere fonte di ispirazione per le migliaia di visite giornaliere.
Ora, la questione è decisamente controversa e rende difficile stigmatizzare o promuovere deliberatamente questa nuova forma di comunicazione o preteso giornalismo. Indubbiamente il fenomeno dei fashion blogs non può essere equiparato al giornalismo tradizionale, in quanto manchevole di studi e competenze che rendono i nostri fashion editor o giornalisti di costume in grado di formulare giudizi o promuovere nuove tendenze perché forti di un’esperienza e di un fiuto conquistato nel tempo. Non ci si improvvisa giornalisti o esperti di moda, è necessario studiare, aver ben presente cosa c’è stato prima, per riuscire a capire e decifrare in maniera più compiuta cosa ci riserva il futuro in fatto di stili, gusti e tendenze. Per essere in grado di realizzare uno shooting o criticare una passerella è quanto mai indispensabile avere una cultura di prodotto e una visione lungimirante che solo la tenacia e il duro lavoro possono garantire, ovviamente uniti ad un certo buon gusto e ad una spiccata sensibilità estetica.
D’altro canto, la società si evolve, siamo in un’era in cui non sempre la competenza determina il successo e i continui progressi tecnologici fanno in modo che chiunque possa esprimere la sua opinione su qualsiasi tema e in qualsiasi momento egli voglia.
È giusto che la comunicazione, soprattutto in un settore in cui il cambiamento e l’innovazione sono i fattori critici di successo principali, non si rinchiuda in ristretti circoli riservati a pochi. È assolutamente necessario che si evolva, che sia democratica, ma sempre assicurando una profonda conoscenza a monte relativa all’argomento che si sta trattando.
Tutti i blogger presenti al convegno hanno tenuto a precisare di non essere al momento degli esperti del settore, com’era naturale che fosse vista la giovane età, ma di essere disposti a crearsi un background culturale e tecnico che permetta loro un giorno di potersi professare conoscitori dei meccanismi dell’intera filiera. Per il momento considerano i loro spazi virtuali come un modo per comunicare con tutti coloro che cercano un consiglio, che vogliono condividere le proprie esperienze e al contempo essere partecipi dei loro interessi e delle loro passioni. Questi giovani blogger appaiono quasi disorientati dai tentacolari meccanismi del sistema moda, dichiarano di voler mantenere una precisa etica rispetto alle pubblicità richieste loro dai vari marchi, affermano di essere stati in molti casi colti alla sprovvista dagli sviluppi di ciò che per loro era un semplice divertimento.
Tali dichiarazioni costituiscono chiaramente una difesa verso chi ha visto nella loro attività un modo per ottenere visibilità e aggirare i tanti ostacoli presenti lungo il cursus honorum del settore moda. Difficile trarre un giudizio esaustivo, soprattutto alla luce delle piccole contraddizioni che emergono: com’è possibile che un ingenuo e giovane amante della moda, senza alcuna velleità creativa, riesca a gestire tutta la visibilità accordatagli? E se è così eticamente intonso e agisce solo per puro piacere e divertimento, senza secondi fini lavorativi, perché accetta le tante inserzioni pubblicitarie e giudica, spesso inconsapevolmente, le attuali dinamiche della moda?
Le aziende perseguono i loro scopi precipui, che sono evidentemente pubblicitari. Quanti più giovani volti, considerati fashionisti o particolarmente glamour, indossano le loro creazioni, tanta più visibilità è garantita, in un meccanismo di spinte emulative e stimoli aspirazionali. L’azienda crea addirittura il suo personalissimo blog, dichiarando di voler aprire un canale di assoluta vicinanza al consumatore, o affida la campagna pubblicitaria ad un personaggio come Scott Schuman, per l’efficiente tecnica fotografica ma anche per far parlare più di sé.
Insomma, gli interrogativi sono tanti e nel momento in cui si tenta di darne una soluzione equilibrata ne vengono fuori tanti altri, in un vortice apparentemente senza via d’uscita.
Il fenomeno dei fashion blogs è in continua crescita, ciò che oggi siamo in grado di affermare probabilmente domani risulterà obsoleto e privo di significato.
Un dato però è certo e immune dai cambiamenti temporali: per poter parlare o scrivere di un qualsiasi argomento, in questo caso di moda, è necessario avere delle competenze ben precise ed un trascorso culturale, fatto di studio e sacrifici intellettivi.
L’originalità e la curiosità dimostrate da questi moderni opinionisti costituiscono un ottimo punto di partenza per poter decollare, sempre che ci siano l’impegno e la volontà di studiare ed informarsi.