Fendi sposa la Galleria Borghese e adotta Caravaggio
Ancora una volta la maison romana Fendi (di proprietà del gruppo francese LVMH) conferma la propria vocazione culturale in forma di massiccio supporto finanziario ad un’iniziativa legata all’arte ai suoi massimi livelli. Ha infatti sottoscritto un accordo triennale con la prestigiosa Galleria Borghese finalizzato all’istituzione di un centro di ricerca dedicato al Caravaggio. Si tratta di un progetto davvero ambizioso e lungimirante – investimento annunciato: 1,2 milioni di euro – che prevede anche la nascita di una piattaforma digitale in cui confluirà tutto il materiale documentario raccolto sul grande artista lombardo: una vera e propria banca dati on line comprensiva di informazioni bibliografiche, archivistiche, filologiche, storiografiche, iconografiche. Non solo.
Per promuovere il “Caravaggio Research Institute” (questo il nome dell’iniziativa, che è stata “benedetta” anche dal ministro dei Beni e delle Attività Culturali Dario Franceschini ), è stato inoltre messo a punto un programma espositivo che porterà le opere del geniale pittore cinquecentesco in giro per il mondo, nelle più autorevoli sedi museali dagli USA all’Estremo Oriente, a cominciare dal Getty Museum di Los Angeles nel Novembre di quest’anno (apertura il 21 Novembre, durata: due mesi). In particolare sono tre i capolavori caravaggeschi scelti per questa straordinaria occasione: “San Girolamo”, “Giovane con canestra di frutta”, “David con la testa di Golia”.
In virtù della partnership avviata con la Galleria Borghese Fendi si conferma dunque un autentico mecenate dei nostri tempi, avendo già al suo attivo il restauro della Fontana di Trevi, del complesso delle Quattro Fontane, delle Fontane del Gianicolo, del Mosè, del Ninfeo del Pincio e del Peschiera, nonché l’apertura al pubblico del primo piano (oggi anche spazio espositivo) del Palazzo della Civiltà Italiana all’EUR che ospita gli uffici della maison. Non scordiamo poi che il patto siglato con il prestigioso museo romano riguarda pure le mostre temporanee, inaugurate da una grande rassegna dedicata a quel sommo scultore che fu Bernini, a partire dal 31 Ottobre (tra le “primizie” della collaborazione, la possibilità per il pubblico di visitare il cantiere aperto del restauro della Santa Bibiana).
Pietro Beccari, presidente e amministratore delegato della casa di moda, ha commentato così l’accordo: “Oggi i gruppi devono essere interessati all’arte e alla cultura, perché non si vende più solo un prodotto, ma si vende un modo di vivere, un lifestyle, un set di valori ai quali il cliente si avvicina entrando in negozio. Non vuole più il prezzo e la borsa solamente, vuole sentirsi dire delle belle storie e io credo che di belle storie in Italia ce ne siano parecchie da raccontare, a noi sta dare il buon esempio, generare questa positività”.
Dal canto suo, plaudendo alla liaison Fendi-Borghese, il ministro Franceschini ha sottolineato i positivi effetti della riforma dei grandi musei: “Qui si vede cosa vuol dire avere un museo autonomo, con un bilancio, con un comitato scientifico, con la possibilità di investire in ricerca e in formazione, quindi non soltanto come è avvenuto in questi anni, aumentare molto il numero dei visitatori, ma aumentare anche l’attività scientifica dei musei. In secondo luogo, grazie alle norme nuove, dall’Art bonus alle sponsorizzazioni, che hanno consentito ai privati di avvicinarsi al mondo dei beni culturali, nasce una forma di altissima qualità tra un grande marchio italiano e un grande museo italiano”.
Infine, vale la pena spendere qualche parola sui tre succitati capolavori del Caravaggio presentati in mostra a Los Angeles, cominciando dall’intenso San Girolamo, eseguito tra il 1605 e il 1606 su commissione del cardinal Scipione Borghese, grande collezionista d’arte.
Qui il santo è raffigurato nelle tipiche vesti di penitente, intento a studiare e meditare le Sacre Scritture, seduto ad uno scrittoio su cui appare l’icastico teschio simbolo della vanità secolare. In una mano reca un calamo, a significare la sua attività di traduttore della Bibbia in latino, con l’altra sfoglia le pagine del libro. La vera protagonista del dipinto è comunque la luce, o meglio gli abissi di buio in cui si consuma la violenza della luce, la quale mette a fuoco drammaticamente nell’oscurità i volumi, il cranio, le membra dello stesso santo, il cui volto sembra illuminarsi dell’immensità del suo pensiero.
E’ un quadro essenziale nella composizione, caratterizzato da colori pacati, se si fa eccezione per il rosso del manto di San Girolamo, che richiama su di sé l’attenzione e la riflessione cristiana.
Il ragazzo con la canestra di frutta, invece, venne dipinto dal pittore lombardo tra il 1593 e il 1594 ed anch’esso finì nella collezione del “vorace” cardinal Scipione Borghese.
E’ impressionante il realismo con cui Caravaggio ha rappresentato il languido fanciullo del popolo a spalle scoperte mentre regge un cesto colmo di frutta mista, la quale appare nella sua naturalezza disarmante, ben lungi da ogni idealizzazione, per quanto il riferimento ultimo resti sempre quello della vanitas dei beni mondani.
In effetti, è noto che si deve proprio a Caravaggio quell’autentica rivoluzione che ha posto al centro della scena gli oggetti osservati nella loro pura realtà ottica, porzioni di una natura riconosciuta valida di per sé, con tutte le sue imperfezioni e alterazioni provocate dall’inesorabile scorrere del tempo. Si deve quindi al pittore milanese il contributo più significativo ad un naturalismo che scaturisce da uno spirito indagatore, ottico, sensibile al rigore controriformistico del cardinal Carlo Borromeo.
Anche in questa tela tutto sembra nascere dai contrasti chiaroscurali, che sanno evocare la tattilità empirica delle cose naturali. I colori sono brillanti, croccanti, freschi come la giovinezza del ragazzo che ci guarda sensuale porgendoci il suo trionfo di frutta mista. Ma come l’ombra sullo sfondo, anche su tutto ciò incombe la caducità.
Infine, il potente ritratto di David con la testa di Golia fu eseguito da Caravaggio in fuga a Napoli tra il 1609 e il 1610, per essere inviato al “solito” cardinal Borghese, forse a dimostrazione della volontà di espiazione dell’artista e quindi a suffragio della sua richiesta di grazia (è sin troppo noto quanto il Caravaggio fosse incline a trasgredire la legge): non a caso sulla lama che il giovane tiene in pugno appare la sigla “H-AS OS” ovvero il motto agostiniano “Humilitas Occidit Superbiam” (l’umiltà uccise la superbia).
Spicca la brutalità della scena, la quale tuttavia è temperata dall’espressione del giovane eroe che non è di trionfo, bensì malinconica, contemplativa, quasi compassionevole nei confronti del nemico sconfitto di cui egli brandisce la testa mozzata grondante sangue e stravolta da un ghigno di attonito dolore (potrebbe trattarsi di un autoritratto dell’artista medesimo, ormai anziano, nei panni del gigante Golia, così come l’immagine di David sarebbe un’idealizzazione del pittore in gioventù).
L’opera è dominata da un luminismo fortemente contrastato, con zone di buio assoluto, bituminoso, tale da inghiottire le membra stesse del protagonista e da porre in dubbio che la luce della grazia possa penetrarvi. Vi possiamo leggere una sorta di prefigurazione della fine stessa del Caravaggio, quasi prossimo a veder compiere il suo tormentato destino nel Luglio 1610 presso l’Argentario.