Fenomenologia del rossetto
“Non sono capace di leggere un messaggio triste senza prima mettermi il rossetto” ammetteva deliziosamente Audrey Hepburn nel film “Colazione da Tiffany”. Doveva pensarla così anche Ingrid Bergman protagonista di “Casablanca”, dove il pianista Sam cantava “A kiss is just a kiss”, mentre i due amanti si sussurravano malinconiche parole d’addio, memori di ardenti baci… Chissà che sapore avevano gli smack della bella attrice svedese con le sue celebri labbra scolpite dal rossetto… Potrebbero saperne qualcosa i curatori dell’estroso volume fotografico “Lipstick Flavor” (edito da Damiani), ovvero Jérôme Sans e Marla Hamburg Kennedy, i quali hanno voluto illustrare le opere di grandi fotografi contemporanei che si sono lasciati affascinare da questo cosmetico, divenuto simbolo della stessa femminilità (e non si dimentichi che fu proprio grazie al cinema che il rossetto nel dopoguerra si diffuse ampiamente in tutto il mondo).
Ebbene, quali interpretazioni danno del rossetto le foto contenute in questo libro? Le più varie, talvolta inimmaginabili. Il rossetto infatti può alludere all’eros, al fetish, all’ironia, alla caricatura, al sublime. Del resto, basta pensare a quanti vocaboli usavano gli antichi Romani per designare quello che noi chiamiamo univocamente bacio: osculum per il bacio fraterno, basium per quello amoroso sulla bocca, suavium quello che forse oggi definiremmo “alla francese”, con forte accezione erotica.
Sbavature e sfumature, tracce sulle tazzine, disegni perfetti lasciati dalle donne con le loro bocche, raccontati in tanti modi estremamente personali da una quarantina gli artisti di fama internazionale: il volume mette insieme le opere di, solo per menzionarne alcuni, Marina Abramović, Maurizio Cattelan, Pierpaolo Ferrari, Ryan McGinley, Daido Moriyama, Martin Parr, Alex Prager, Sam Samore, Mikalene Thomas, Erwin Wurm, Nobuyoshi Araki, Hans-Peter Feldmann, Inez & Vinoodh, Catherine Opie, Laurie Simmons.
Tra le immagini che ci hanno colpito di più, scegliamo “Portrait of Qusuquzah” di Mickalene Thomas che raffigura una fascinosa ragazza nera dalle rosse labbra ammalianti, l’autoritratto nudo con sigaretta e rossetto di Juergen Teller, la foto di una “Matrona di Palm Beach in boa di struzzo” scattata da Stephen Shore, l’iconico collage fotografico di una donna con un ferro da stiro al posto della testa e bocche dipinte invece dei capezzoli: un lavoro firmato da Linder. Gli artefici del libro Jérôme Sans e Marla Hamburg Kennedy nell’introduzione scrivono: “Il rossetto in definitiva è un aspetto socio-culturale evocativo e provocatorio di una situazione, un modo per raccontare una storia senza voce, ma con un sapore persistente”.
Va detto comunque che “Lipstick Flavor” riecheggia palesemente “Lipstick Traces” di Greil Marcus sulla generazione punk nella Londra della fine degli anni ’70, ovvero un’estetica concepita come ribellione contro le arti e la società del passato, contro le istituzioni tradizionali e il buon gusto. Oggi di quello slancio vitale non è rimasto forse granché, se si eccettuano certe immagini esteticamente interessanti e capaci di stimolare la creatività in ottica futura.
Infine, una curiosità: se pensate che il rossetto sia un’invenzione contemporanea, vi sbagliate di grosso, dal momento che tale cosmetico è in uso da almeno mezzo millennio: già nell’antica Mesopotamia, culla della civiltà umana, era utilizzato sotto forma di gemme e metalli sminuzzati per essere applicati sulle labbra, nonché talvolta intorno agli occhi. Anche nella valle del fiume Indo le donne solevano tingersi le labbra per farsi belle; e Cleopatra, la celebre regina egizia, utilizzava un rossetto ricavato dai pigmenti dei coleotteri e delle formiche. Fu poi in Inghilterra nel ‘500, in epoca elisabettiana, che questa sostanza, allora ottenuta dalla cera d’api, divenne popolare presso un pubblico più ampio.
Il finale lo lasciamo tutto a Gwyneth Paltrow: “La bellezza, per me, è sentirsi a proprio agio nella propria pelle. Questo o un rossetto rosso da urlo!”.