Gioiello: così è se vi pare
Chiedersi oggi che cos’è un gioiello, che cosa possa definirsi gioiello e cosa no, è una questione che rasenta la speculazione filosofica, la retorica sofista, la verbosità cavillosa di un azzeccagarbugli. In effetti, la domanda se la pongono soprattutto i gioiellieri, che dopo aver venduto per anni oggetti che non avevano difficoltà a qualificare come gioielli, perché fatti d’oro, di pietre, di materiale insomma davvero prezioso per antonomasia, adesso si vedono ordinare da gran parte dei clienti articoli d’acciaio, di cuoio, di legno, di cristallo…
E che prezzi, quei clienti, sono disposti a pagare per quei materiali in fondo poveri, ma valorizzati dal marketing, dalla moda giovanilistica, da un design fantasioso ed innovativo!
Per non dire di altri generi di ornamento personale, smerciati in altro genere di negozi, che impunemente e superbamente vengono battezzati gioielli: si pensi ai bijoux di vetro, di piume, di marmo, di plastica, di nichel, di rame, di ceramica, ecc. Magari solo nobilitati da una firma famosa o da un marchio che tira… E si consolida la tendenza a definire gioielli cose che appartengono a tutt’altra sfera di categoria commerciale: bottoni-gioiello, scarpe-gioiello, borsette-gioiello, telefonini-gioiello, e via dicendo in pieno delirio semantico. Non dovrebbe esserci, fuor di metafora, un po’ più di senso della misura?
Mettiamoci nei panni di chi, fabbricando e vendendo gioielli (autentici) da una vita, si sente mortificato dal prevalere di oggetti vili, che hanno l’unica fortuna di essere trainati dalla pubblicità e dalla moda, ma che sono effimeri – nessuno può negarlo – e tuttavia scippano persino del nome quelli legittimi. Diamo la colpa alla moda, diamo la colpa al marketing, diamo la colpa all’incultura dilagante in fatto di gioielli e diamo la colpa alla crisi economica, che non invoglia certamente a spendere grosse cifre in gioielli, salvo poi “buttarne via” un po’ (comunque troppi) in ornamenti di dubbio pregio.
Ma la colpa, forse, gli orafi dovrebbero attribuirla anche a se stessi, dal momento che spesso non sanno comunicare adeguatamente col mondo che li circonda: tanto è vero che non riescono neppure ad imporre una definizione univoca del gioiello, il quale dovrebbe essere sempre e solo per tutti quella cosa creata in metallo prezioso e pietre preziose. Fanno bene adesso ad inalberarsi – adendo persino le vie legali – contro chi osa apostrofare gioiello un tocchetto d’acciaio, con tutto il rispetto possibile per chi lavora in questo comparto, ma facciano attenzione: ricordino che devono essere loro per primi a sensibilizzare, informare, educare il pubblico ai loro prodotti, ad esprimere chiaramente chi essi siano, cosa facciano, perché siano più bravi. Convinceranno anche gli altri, se sono veramente persuasi loro stessi.