Giotto a Milano: un tuffo nella bellezza di un viaggio tutto italiano
È il buio che ci viene incontro al varcare dell’ingresso della mostra milanese “Giotto, L’Italia” dedicata al grande pittore fiorentino che chiude il semestre di Expo e che si protrae fino a gennaio 2016.
Un buio che ovatta e accoglie, che ingloba e chiama, che protegge e guida.
Giusto che sia così. Sarebbe piaciuto anche a lui, a Giotto, questo suggestivo allestimento -messo in atto nelle sale di Palazzo Reale dal geniale Mario Bellini – così intimo e al contempo così spettacolare. Lui, così “ordinato” e preciso, lui, così attento ai giochi di luce e di ombra, lui, così “maniaco” della simmetria e della “chiusura armoniosa del cerchio”, avrebbe amato questa modalità di percorso che traccia cronologicamente l’evoluzione del suo straordinario lavoro svolto in giro per l’Italia nell’arco di circa quarant’anni.
L’oscurità che si fa da parte per accendersi solo su punti ben focalizzati affinché lo sguardo possa cogliere in modo capillare ogni piccolo dettaglio di ognuno dei quattordici capolavori -mai esposti prima nel capoluogo lombardo e mai riuniti insieme- giunti a Milano non senza fatica.
“L’arte di Giotto rappresenta un passaggio fondamentale nella storia della rappresentazione del pensiero e della realtà nella bellezza. Il nome di Giotto evoca, ovunque nel mondo, la grandezza dell’Italia e della sua storia…” Queste parole dell’Assessore alla Cultura Filippo Del Corno sono solo uno dei tanti apprezzamenti spesi per la grandezza del maestro chiamato da ogni parte a dare testimonianza di sé.
Dalle opere giovanili a quelle della piena maturità si coglie il desiderio di rivoluzionare -ma in modo gentile- il linguaggio figurativo della sua epoca e di “introdurre” la dolcezza nell’espressione dei personaggi, per aggiungervi umanità e vicinanza.
Ed ecco che sulle tavole, sui polittici, sui frammenti, i volti recano in sé qualcosa che non riesce a far staccare l’attenzione. La sua “prospettiva intuitiva” -prima ancora che di prospettiva si parlasse!- fa “andare oltre” e fa volare.
La Vergine -sempre più soave, man mano che si avanza-; il Bambino -sempre più vivace e dinamico nei movimenti verso il viso della madre sfiorato con delicate carezze da manine avide di affetto-; Dio Padre e il Cristo -mai austeri o vigili, ma benevoli o amici-; i Santi e gli Angeli -mai lasciati al caso, ma uniti da una coerenza di episodi descrittivi-; le “famose” pecorelle e gli oggetti quotidiani e “veri”.
Una circolarità ricercata e un equilibrio inseguito per dare vita a qualcosa che, anni dopo, avrebbe fatto scaturire ispirazione e insegnamento.
Una capacità dettata -oltre che da una dote innata- dai suggerimenti “tecnici” di un maestro come Cimabue (così affermerà Vasari), ma soprattutto da quella realtà, da quella Natura, che lo circonda e che lui porta nella sua arte con disinvolto amore.
“Questa ispirazione alla fonte della Natura ha una connotazione quasi cristologica: è il tocco della Grazia che fa di Giotto l’eccezione suprema rispetto a tutto il circostante panorama e di fatto ne sottolinea il ruolo provvidenziale e quasi astorico”.
Fulgide queste parole di Serena Romano, curatrice, insieme a Pietro Petraroia, della mostra. Fulgide e corrispondenti a quel che “esattamente” si percepisce quando gli occhi si posano su ciò che incontrano.
La semplicità di intenti -pur arricchita da preziosi segni- e la naturalezza che viaggia con lui -pittore sempre in cammino e mai fermo- catturano e catalizzano il visitatore estraniandolo da tutto il resto e portandolo fuori con la mente. Si è lì, nel palazzo milanese di Azzone Visconti, inchiodati difronte alla “Storia dell’Arte”, ma si è anche ad Assisi, a Padova, a Roma……nei più noti luoghi “giotteschi” dove le emozioni più disparate si sovrappongono allo stupore iniziale e ritornano intatte a colpire ogni volta come se fosse la prima.
Si esce dalla visita con la testa piena di fotogrammi realistici e di sentimenti nuovi che si rincorrono e poi si posano.
Rimane la voglia di tornar dentro, di soffermarsi di nuovo sulla levità di quel rosa incredibile usato abbondantemente per le vesti della Vergine -ma non solo!- (si toccano, nel maestoso e corale Polittico Baroncelli del 1328 circa conservato in Santa Croce a Firenze, l’abito color dell’aurora della Madre e quello -dipinto col medesimo tono- del Figlio che la incorona, quasi a fondersi in un unico e pieghettato “involucro”) o di “penetrare” nella profondità di quel blu lapis che rimanda a quei cieli della Cappella degli Scrovegni così ammalianti e promettenti.
E si cerca di trattenere la visione discreta di tutto quell’oro che inonda i verdi, che rende cangianti gli ocra, che dona freschezza ai rossi a volte spenti……che anima e pervade di luce i volti rappresentati suggellandone la sacra ma pure umana bellezza che, così, entra docilmente come un balsamo lenitivo anche dentro di noi.
GIOTTO, L’ITALIA
PALAZZO REALE. Milano
Fino al 10 Gennaio 2016