Gli anni 70: la Moda? E’ caos
Gli anni 70’ del secolo scorso furono testimoni del boom economico e delle tensioni per la guerra fredda, della confusione per le contestazioni giovanili, dei movimenti hippie e delle loro bizzarre proposte naturalistiche. Utopia, disordine e disorientamento trovarono una delle loro massime espressioni nella moda, egregia interprete della realtà di quel momento.
La moda attingeva alla strada e la strada era sinonimo di internazionalizzazione, libertà, contaminazione di stili, culture ed etnie. Dall’etnico al techno e al punk di Vivienne Westwood, dal lusso francese ai temi orientaleggianti. Dal citazionismo di epoche antiche con giacche da cosacco, maniche a sbuffo, a campana e gigot, romantici gonnelloni e sottovesti della nonna, allo spiritualismo e alle influenze asiatiche con i colli alla coreana e tessuti finemente lavorati.
Era l’epoca della minigonna accorciata fino all’inverosimile, ma era anche l’epoca degli hot pants, dei blu jeans e la t-shirt, del jersey usato a profusione e delle sovrapposizioni in maglia nello stile comfort-chic. Era il tempo dalla gonna midi, e dal tailleur-pantalone, espressioni di una femminilità determinata decisa ed elegante; degli zatteroni e degli stivali portati fin sopra al ginocchio. Di Elio Fiorucci, che aprì il suo primo emporio a Milano e lo dedicò alle mode provenienti dal mondo anglosassone.
Era il periodo del gran calderone, nel quale caddero a picco le norme della formalità e del bon ton e la loro rigida scansione di contesti e orari. In barba alla visione borghese che aveva imperversato sino ad allora.
In questo panorama vario e confuso la haute couture, si trovò a dover fare i conti da un lato, con la moda secondaria del pret –à- porter, che riusciva a soddisfare i bisogni di una vasta fetta di mercato; dall’altro, con il radicali mutamenti di scena e la rapidità dell’evolversi dei cliché tra una stagione e l’altra. Parecchie Maison chiusero i battenti perché incapaci di assecondare i nuovi ritmi e di adattarsi al cambiamento; altre, invece, attinsero al pandemonio.
Valentino riuscì a coniugare l’alta moda con una moda più quotidiana; Yves Saint Laurent, ispirò i suoi look agli esistenzialisti Parigini. Stiliste come Sonia Rykiel e Emmanuelle Khanh, introdussero un pret- à – porter adatto alla vita di tutti i giorni e al contempo raffinato ed elegante. Takada, propose dei modelli quotidiani avvalendosi dell’utilizzo di originali tessuti giapponesi.
Le collezioni si susseguivano ad un ritmo folle, nel 1973 gli stilisti di pret-à- porter iniziarono a presentare due volte l’anno le loro collezioni a Parigi, seguendo un calendario simile a quello della haute couture. Il circuito moda era veloce, mutevole e irrefrenabile.
Dalla metà degli anni 70’ si iniziò a sfilare a Milano, New York, Londra e Tokio.
Solo all’alba degli anni 80’ -tempo in cui il clima economico e politico si stabilizzò-, nel settore tornò l’equilibrio e un nuova stagione di fioritura si profilò lasciando dietro di se l’ombra caos, e i nuovi ed incalzanti ritmi.