Gli anni ’80: l’emancipazione femminile e il power dress
Gli anni ’80 furono il decennio della caduta delle ideologie e degli ideali che avevano imperato dal 68’ in poi, a favore di una visione pratica, concreta e utilitaristica della vita. Il panorama internazionale storico-sociale fu caratterizzato da una serie di eventi importanti, che ebbero un influsso determinante nel settore della moda, specchio sociale per antonomasia. Fu il decennio della decimazione dovuta all’Aids, del rifugio nell’eroina per la perdita di ideali e del terrorismo. Furono gli anni della tragedia di Cernobyl, e della caduta nell’89 del muro di Berlino.
Ma furono anche gli anni dell’elezione del primo ministro donna in Inghilterra, Margaret Thatcher, che aprì un varco all’uguaglianza di genere imponendosi all’attenzione internazionale come esempio di emancipazione femminile.
Nasce la figura della donna attiva nel mondo del lavoro, capace, determinata, influente, autoritaria. E con lei lo stile “Power Dressing”, tipico della donna manager , del quale migliore interprete fu lo stilista Giorgio Armani con le sue sofisticate collezioni fatte di abiti raffinati di giacche sfoderate dedicate a uomini e donne in carriera.
Altra stilista acclamata per la sobrietà delle sue proposte e capace di interpretare i desideri edonistici del periodo fu Jil Sander, rinominata peraltro, la Armani tedesca.
Uno stile temperato, dall’eleganza disinvolta e ordinata fu appannaggio anche di Chanel e di Hermes, dedicati entrambi a donne dalle esigenze prevalentemente conservatrici.
Complici l’espansione dei mass media e la enorme spettacolarizzazione in ogni campo artistico, il look rappresentò il fattore determinante per il successo. Due erano le tipologie più in voga. Quello trasgressivo e dissacrante, usato da rock star del calibro di Madonna, Prince e Boy George, i cui interpreti maggiori erano Vivienne Westwood e il parigino Jean-Paul Gaultier, look con corsetti giarrettiere e altri indumenti intimi trasformati in veri e propri capi da mostrare. Accanto a questo, il look manageriale, elegante e discreto ma guizzante e mai banale. C’era poi lo stile degli “yuppi”, giovani rampanti e assetati di danaro impegnati in borsa o nel marketing e nella comunicazione.
In generale la moda, alleggerita dal peso degli idealismi e dei conformismi tipici dei lustri precedenti, poté in questo decennio esprimersi liberamente. Libertà, che si tradusse in mescolanze di epoche e stili, nell’uso ardito e spensierato del colore, nelle fogge sfacciatamente ironiche delle spalle gigantesche e delle maniche a gigot.
Nacque l’urban style, fatto di scarpe da ginnastica e abiti oversize e unisex. Dolce &Gabbana lanciò lo stile chic-trasandato molto apprezzato da Madonna, e Azedine Alaja, sostenitore dello stile “body conscious” enfatizzò a mo’ di scultura il corpo femminile attraverso tessuti elasticizzati.
In questo contesto, la griffe assunse un ruolo determinante nella scelta dell’acquisto e le case di moda a causa della globalizzazione e sempre maggiore concorrenza, furono costrette a rivedere i loro piani di marketing progettando campagne pubblicitarie da mille e una notte per rimanere competitive e accattivanti sul mercato.
Negli anni ottanta la moda fu, non tanto espressione di ideali e ideologie, quanto piuttosto strumento di affermazione personale nel lavoro e nella vita personale.
Indosso, quindi sono . L’edonismo, il culto del corpo, la cura di se in questi anni la fanno da padrone