GRAND TOUR 2012
La bella stagione bussa timida alla porta e ci rende “serenamente” pensosi, aprendoci la mente alle prossime, benché ancora lontane, vacanze. Il nostro essere viaggiatori – e non turisti, come puntualizza il protagonista del libro di Paul Bowles “Tè nel deserto” – si evolve nel tempo, facendoci vedere la stessa realtà con occhi diversi. Curiosità e intelligenza insieme, complice un fatto in apparenza banale, invisibilmente dirottano il nostro approccio ai luoghi – seppure già noti – lungo vie nuove, lastricate di idee, emozioni, sogni, filosofia (intesa nel suo senso originario di amore per il sapere). Di questa fenomenologia dovrebbe tener conto chi, a vario titolo, si occupa di turismo, in particolare del cosiddetto “turismo di lusso”, quello capace di “rianimare” i fatturati delle nostre boutique di moda e beni d’alta gamma, oltre che di riempire hotel cinque stelle e resort da nababbi.
Si pensi al ruolo incarnato da libri o film, per non citare i soliti ritornelli dell’economia, della religione, della musica, dell’arte, della gastronomia, nel creare il “mito” del Belpaese, e si rifletta sulle vibrazioni ideali, sentimentali, culturali tout court che essi hanno suscitato nell’immaginario straniero. Il tonfo indimenticabile di Anita Ekberg nella Fontana di Trevi, ai tempi della “Dolce vita”, ha giovato di più all’Italia di pile di dépliant, e la contessa Livia Serpieri del viscontiano “Senso” (interpretata da un’incantevole Alida Valli), trasportata da una passione sensuale infinita in una Venezia dalla bellezza struggente, ha reso immortale il fascino dell’atmosfera lagunare agli occhi del mondo.
Il fashion system dovrebbe riflettere su questi aspetti “immateriali”, così come dovrebbe contribuire a rivalutare quella “moda” meravigliosa che fu il “grand tour”, esplosa a inizio ‘800 sull’onda del lungo “giro” compiuto nel nostro Paese a fine ‘700 dal sommo poeta tedesco Wolfgang Goethe, le cui impressioni confluirono in un libro di culto per tutti gli intellettuali nordici: “Viaggio in Italia”. Il movimento artistico che venne definito Romanticismo fece proprio, in particolare, lo spirito goethiano, spronando pittori, poeti, archeologi di tutta Europa alla ricerca dei resti della classicità. Già da qualche tempo, in effetti, per completare la formazione di un giovane dell’alta borghesia o dell’aristocrazia si riteneva opportuno istradarlo in un viaggio verso Sud, alla volta della Francia e, soprattutto, dell’Italia. Questi ragazzi colti (soprattutto inglesi e tedeschi), se qualche incidente di percorso – ad esempio la perdita al gioco d’azzardo di tutti gli averi – non li costringeva a rientrare in patria frettolosamente, per mesi si spostavano da una città all’altra, stringendo amicizie con la buona società dell’epoca e visitando chiese, musei o biblioteche colmi di capolavori (non pochi, così, intraprendevano la collezione di oggetti antichi e libri).
Fu poi la volta dei giovani e ricchi rampolli d’oltreoceano coltivare il mito del “grand tour” in Europa e, nella fattispecie, nel “giardino” d’Italia, la cui cultura era considerata suprema. Henry James in primis raccontò questi viaggi sentimentali degli Americani che sovente vissero l’esperienza come “terapia”: un modo per trasferire l’attenzione dal proprio mondo interiore al Paese visitato e, così, magari dimenticare un amore infelice (si può citare in proposito Montaigne quando affermava già nel ‘500 che il viaggiatore, anche se non sa cosa va cercando, sa molto bene ciò che fugge). Parallelamente a tali itinerari per così dire “educativi”, cominciava a prendere piede anche un ricercato turismo internazionale, che nel nostro Paese aveva come meta diletta i laghi. Sorgevano, quindi, grandi alberghi e si ingrandivano alcune località di villeggiatura. Fu relativamente breve, in seguito, il passo dell’Italia verso la considerazione del turismo come una delle eminenti risorse economiche.
Questo accenno al “grande giro” ed alle sue implicazioni non può non suggerirci qualche idea per intercettare un certo tipo di viaggiatori stranieri oltremodo raffinati, che si collocano tra i due estremi definibili della “sindrome di Stendhal” e della “sindrome di Hesse”. In altri termini, tra quanti amano lasciarsi sopraffare dalle emozioni estetiche seguendo un predefinito itinerario turistico (per cui si è addirittura coniato il vocabolo “turisdotto”) e coloro che, all’opposto, preferiscono uscire dagli schemi, affidandosi alla curiosità e all’istinto (“ Non serve a nulla cercare nella guida; dobbiamo consultare la nostra mente; soltanto lei può dirci quale sia l’importanza relativa di una cattedrale… e di una ragazza con una borsetta di raso verde” commentava Virginia Woolf, che aveva in mente il “Viaggio sentimentale” di Laurence Sterne, il quale effettivamente aveva toccato tutte le mete canoniche del grand tour in un suo viaggio italiano tra 1765 e 1766: Torino, Milano, Piacenza, Parma, Bologna, Firenze, Roma, Napoli). L’auspicio di molti è che la sindrome di Hesse, sinonimo di vero arricchimento spirituale, si diffonda sempre più, permettendo di diversificare i percorsi e valorizzare di più e meglio il complessivo “museo Italia” in ambito di grand tour (compresa la moda made in Italy, che entra di diritto nel novero dei plus della nostra offerta ricettiva).
Questo concetto, inoltre, può indurci a recuperare una fetta di connazionali più sensibili ai richiami intellettuali… magari sulla scia di un libro come “Viaggio in Italia” di Guido Piovene (edito nel 1957, ma più attuale di quanto non si immagini). L’opera, frutto di un’inchiesta giornalistica (radiofonica) compiuta per conto della Rai nell’arco di tre anni, si dipana per tutta la penisola da Bolzano alla Sicilia, toccando centinaia di località grandi e piccole. Lo sguardo dello scrittore, smaliziato e anti-retorico, ci mostra un’Italia ansiosa di uscire dai dissesti della guerra, avviata verso il “miracolo economico” in nome del progresso e del riscatto. Ne sortisce, quindi, il ritratto di un Paese in piena trasformazione, pieno di chiaro-scuri così come sono i suoi protagonisti, a cominciare dal grande ”timoniere” di Eni Enrico Mattei. Leggendo ad esempio le pagine dedicate alla Sicilia, che ancora emanano la fragranza del pane di Ortigia e degli agrumi di Paternò, si ha l’impressione, per molti aspetti, che il tempo si sia fermato, nel bene e nel male, nelle illusioni e nelle delusioni. Varrebbe la pena riproporre agli Italiani un viaggio sulla scorta di quello di Piovene: capirebbero meglio il loro Paese e se stessi, per migliorarlo e migliorarsi. Il viaggio, allora, diventa anche metafora della vita. Buon giro a tutti… e che sia “grande”!