I colori dell’Indonesia nel cuore di Milano
Raffinati esponenti dell’alta borghesia lombarda del Novecento, appassionati di cose belle e originali tra cui l’artigianato orientale, i Necchi Campiglio sarebbero lietissimi di ospitare in quella che fu la loro splendida dimora di Via Mozart a Milano la suggestiva rassegna “Incantevole Indonesia”, organizzata dal FAI (Fondo per l’Ambiente Italiano, oggi proprietario della storica residenza) e visitabile fino al 16 Novembre.
Il pubblico non può che restare affascinato dal mosaico di colori esotici in mostra, le cui tessere sono gli antichi tessuti ed i preziosi batik dell’arcipelago asiatico selezionati con cura per questo eccezionale evento espositivo, che si avvale della collaborazione del Museum Tekstil di Jakarta e della Wastraprema Foundation (un ente che promuove la cultura indonesiana nel mondo, tramandandone la millenaria perizia manifatturiera). In effetti percorrere le sale di Villa Necchi in tale occasione è quanto mai propizio per calarsi in un avvincente viaggio estetico all’interno di un mondo favoloso, in cui l’artigianato ha raggiunto vette d’eccellenza grazie ad una manualità straordinaria affinata di generazione in generazione.
La mostra del FAI consente anche di scoprire la speciale tecnica di realizzazione dei tessuti batik, ovvero la “tintura a riserva” che prevede, prima del bagno di colore, la copertura con cera o altri materiali impermeabilizzanti (argilla, resina, amido, pasta di riso, semi di arachide impastati con calce o altri composti vegetali, ecc.) per far sì che alcune parti non assorbano la tinta. Caratteristica del batik indonesiano è di essere cerato su entrambi i lati e di essere sovente impreziosito con foglia d’oro. Il termine deriva dalle parole amba (scrivere) e titik (punto, goccia), venendo a significare “ciò che si disegna”.
Si tratta di una tecnica – forse nata casualmente per errori di tintura – che era già praticata in Oriente 1500 anni fa, inizialmente appannaggio delle donne di ceto aristocratico, poi diffusa tra tutte le classi, assurgendo ad idioma in cui si esprimeva il simbolismo filosofico di quelle remote isole elegantemente disseminate nell’Oceano Indiano. In Indonesia, in particolare a Giava, era legata a cerimonie rituali al pari di altre tecniche “a riserva”, raggiungendo nel tempo gradi di perfezione assoluta e pervenendo all’elaborazione di una complessa iconografia.
Oggi il batik resiste a livello artigianale, mentre il progresso industriale ha favorito la diffusione di metodi automatizzati di stampa in grado di riprodurre i disegni e le caratteristiche estetiche proprie della lavorazione manuale, che fungevano da mezzo di comunicazione vero e proprio con i loro diversi grafismi, colori e fogge distintive. Tra i disegni più frequenti ricordiamo le ali del mitico uccello Garuda, i raggi, le scaglie di pesce, gli emblemi del numero 4, alberi, animali, gocce di pioggia… Il materiale su cui si esegue tradizionalmente il batik è una stoffa leggera tessuta con filato sottile e uniforme così da permettere una realizzazione precisa del disegno. Le fibre più indicate sono quelle naturali come cotone, seta, lino, che si impregnano di colore facilmente.
Si segnala che in apertura della mostra “Incantevole Indonesia” (tra il 24 e il 26 Ottobre), è pure stato approntato un “Bazar indonesiano” in cui era possibile fare shopping di un ampio assortimento di oggetti originali rari, tra cui suppellettili per la casa, cesti in rattan, manufatti in madreperla e pasta di corallo, tessuti colorati e batik moderni, abiti e non solo. A sostegno del FAI è stata destinata una parte del ricavato di vendita.
Vale dunque la pena di avventurarsi in questa mostra squisitamente insolita nel cuore di Milano, tanto più che ad accoglierla è la “magica” Villa Necchi Campiglio, edificata tra il 1932 e il 1935 su progetto dell’architetto Piero Portaluppi (poi integrato da Tommaso Buzzi), a cavallo tra il fiorito stile Decò e l’austero razionalismo, come pure testimoniano all’interno le pregiate boiseries in radica ed i sontuosi marmi, nonché all’esterno l’incantevole giardino con campo da tennis e piscina. Ricca di oggetti d’arte e collezioni varie che dalla prima metà del XX secolo risalgono nei secoli d’oro della grande pittura italiana, tanto da fare del luogo una fulgida Wunderkammer, la Villa è altresì un fedele documento dello stile di vita e della mentalità di una facoltosa famiglia di industriali lombardi “illuminati” che attraversarono da protagonisti il secolo scorso. Donata al FAI nel 2001, dopo un perfetto restauro conservativo durato 3 anni, la Villa è stata riaperta come “Casa Museo”, uno dei luoghi culturalmente più dotati del capoluogo ambrosiano. Da visitare… meglio prima che poi.