I Gioielli che illuminano la scena
Pochi sanno che in un semplice appartamento del quartiere Appio di Roma è allestito un autentico museo di strepitosi gioielli… tutti rigorosamente falsi. Si tratta, infatti, delle creazioni esclusive del grande artista/artigiano orafo Nino Lembo per il cinema, l’opera, il teatro di prosa, la televisione.
Qui si possono ammirare le fascinose collane etniche della “Medea” di Pier Paolo Pasolini indossate da Maria Callas o la corona di Ludwig II di Baviera calzata da Helmut Berger nel film di Luchino Visconti, così come le gemme, gli anelli, i bracciali, le parure, i diademi, le decorazioni più varie utilizzate in film celebri come “La Traviata” di Franco Zeffirelli, “Casanova” di Federico Fellini, “Amadeus” di Milos Forman, “Shakespeare in love” di John Madden, per arrivare fino ai giorni nostri con la “Marie Antoinette” di Sofia Coppola. E poi non mancano i gioielli sfoggiati dalle “mitiche” gemelle Kessler nei balletti di “Studio Uno”, né quelli realizzati per la “Tosca” di Luc Bondy al Metropolitan di New York o per il serial televisivo canadese dedicato ai Borgia (diretto da Neil Jordan). Con ciò abbiamo citato solo alcuni dei veramente innumerevoli spettacoli per cui Lembo, scomparso nel 1987, ha creato a partire dalla fine degli anni ’60 autentici capolavori di altissima manifattura, che hanno dato eccezionale lustro al made in Italy, accompagnando l’intera parabola di Cinecittà e andando oltre nel tempo e nello spazio, fino a conquistare le più importanti mecche cinematografiche del pianeta, Hollywood compresa.
“Jewel House” – così si chiama questo luogo da sogno, che evoca il nome delle sale nella Torre di Londra in cui sono gelosamente custoditi i preziosi della Corona britannica – può ben definirsi un monumento del cinema italiano, avendone segnato la storia e promosso la cultura, i valori, la tradizione, continuando tutt’oggi a tenere alto l’ideale di eccellenza del nostro lavoro.
La raccolta, che si compone di circa 15mila pezzi, ad un certo punto tuttavia ha rischiato di cadere in rovina e disperdersi. Si deve al nuovo proprietario, il costumista Carlo Poggioli, il merito di aver rilevato il “tesoro”, averlo preservato, restaurato e addirittura arricchito con nuovi acquisti. In effetti Poggioli, animato dalla stessa fortissima passione che aveva mosso Lembo, nel 2009 ha deciso di costituire la “Jewel House”, la cui attività consiste nel noleggio e nella produzione di bigiotteria artistica per teatro, opera, cinema, televisione e spettacolo, nonché allestimenti scenici.
Aggiudicandosi la celebre ditta Lembo (negli anni ’80 confluita in L.a.b.a., ex Nino Lembo fondata nella seconda metà degli anni ’60 sulla Circonvallazione Appia 19), egli ha riportato all’antico splendore tutti i gioielli, tra cui i favolosi collier in smalto colorato creati da Pierre Cardin negli anni ’70, ormai introvabili. A dar man forte con Poggioli vi sono anche i colleghi Serafino Pellegrino e Simona Falanga, che possono anche contare sulla perizia straordinaria dell’aiutante storico di Lembo, Giovanni Sorrentino, nonché sulla creatività e savoir faire della giovane Marzia Heusch. Infatti, la maison tuttora continua a sfornare nuove realizzazioni, come nel caso dei gioielli per il nuovo film di Ridley Scott sui misteri del Vaticano (“The portrait”). Alla nuova proprietà va altresì riconosciuto il pregio, oltre che di aver “salvato” un patrimonio culturale (se non monetario) inestimabile, anche di essere determinata ad arricchirlo ulteriormente con nuove acquisizioni: così ai monili egizi, alle corone imperiali dell’antica Roma, ai diademi elisabettiani, si aggiungono di continuo pezzi antichi scovati in qualche mercatino, come spille Decò originali o ventagli ottocenteschi splendenti di strass.
Nino Lembo, attore di varietà, poi capocomico del teatro di rivista e infine “gioielliere”, era nato nel 1913 ad Adnria (Bari) e quasi casualmente aveva cominciato a confezionare costumi di scena e gioielli finti, sino a mettere in piedi una vera e propria attività imprenditoriale insieme alla moglie Eva Serrao, anche lei attrice. Da allora in poi chiunque avesse avuto bisogno, in qualsiasi luogo del pianeta, di gioielli, metalli e gemme veramente falsi, ma perfetti, non aveva che da rivolgersi a lui. Da Fellini a Scola, da Scorsese a Gilliam, tutti ma proprio tutti i cineasti si sono avvalsi della sua perizia.
Insomma, dalla preistoria al futuro fantascientifico, nella “Jewel House” dell’Appio si trova praticamente ogni tesoro per il grande e piccolo schermo, che tramanda nei decenni un sapere raro, un’arte tipicamente italiana – vera o falsa che sia – di cui siamo ancora maestri indiscussi.