Il bacio del Natale
Un bel racconto della tradizione natalizia narra che tra i pastori accorsi ad adorare il Bambino nella grotta di Betlemme ce n’era uno poverissimo, che non aveva nulla da offrire e se ne vergognava, ma non volle rinunciare a recarsi anch’egli a contemplare il Bambinello. Giunti alla mangiatoia, tutti i pastori facevano a gara per porgere i loro doni, tanto che Maria non riusciva più a prenderli e, nello stesso tempo, a reggere Gesù. Allora, vedendo il pastorello con le mani libere, decise di affidare a lui il piccolo per un po’. Per il misero pastore, quindi, avere le mani vuote fu una vera fortuna. Che storia affascinante… Anche se non si è credenti, viene da chiedersi dunque: quanto sarebbe felice il nostro Natale se riuscissimo a farci trovare così inermi, poveri di egoismi, ipocrisie, cinismi, ovvero così disarmati di noi stessi che Maria, vedendoci, potesse lasciarci accogliere nel nostro cuore il suo Bambino?
E quindi, quale più autentico augurio di buon Natale di questo formulato dal compianto don Tonino Bello? “Non posso sopportare l’idea di dover rivolgere auguri innocui, formali, imposti dalla routine di calendario. Mi lusinga, addirittura, l’ipotesi che qualcuno li possa respingere al mittente come indesiderati. Tanti auguri scomodi, allora! Gesù che nasce per amore vi dia la nausea di una vita egoista, assurda, senza spinte verticali. E vi conceda la forza di inventarvi un’esistenza carica di donazione, di preghiera, di silenzio, di coraggio. Il Bambino che dorme sulla paglia vi tolga il sonno e faccia sentire il guanciale del vostro letto duro come un macigno, finché non avrete dato ospitalità a uno sfrattato, a un marocchino, a un povero di passaggio. Dio che diventa uomo vi faccia sentire dei vermi ogni volta che la carriera diventa idolo della vostra vita; il sorpasso, progetto dei vostri giorni; la schiena del prossimo, strumento delle vostre scalate. Maria, che trova solo nello sterco degli animali la culla ove deporre con tenerezza il frutto del suo grembo, vi costringa con i suoi occhi feriti a sospendere lo struggimento di tutte le nenie natalizie, finché la vostra coscienza ipocrita accetterà che lo sterco degli uomini o il bidone della spazzatura o l’inceneritore di una clinica diventino tomba senza croce di una vita soppressa. Giuseppe, che nell’affronto di mille porte chiuse è il simbolo di tutte le delusioni paterne, disturbi le sbornie dei vostri cenoni, rimproveri i tepori delle vostre tombolate, provochi corti circuiti allo spreco delle vostre luminarie, fino a quando non vi lascerete mettere in crisi dalla sofferenza di tanti genitori che versano lacrime segrete per i loro figli senza fortuna, senza salute, senza lavoro. Gli angeli che annunziano la pace portino guerra alla vostra sonnolenta tranquillità incapace di vedere che, poco più lontano di una spanna con l’aggravante del vostro complice silenzio, si consumano ingiustizie, si sfrutta la gente, si fabbricano armi, si militarizza la terra degli umili, si condannano i popoli allo sterminio per fame. I poveri che accorrono alla grotta, mentre i potenti tramano nell’oscurità e la città dorme nell’indifferenza, vi facciano capire che, se anche voi volete vedere “una gran luce”, dovete partire dagli ultimi. Che le elemosine di chi gioca sulla pelle della gente sono tranquillanti inutili. Che le pellicce comprate con le tredicesime di stipendi multipli fanno bella figura, ma non scaldano. Che i ritardi dell’edilizia popolare sono atti di sacrilegio, se provocati da speculazioni corporative. I pastori che vegliano nella notte, facendo la guardia al gregge e scrutando l’aurora, vi diano il senso della storia, l’ebbrezza delle attese, il gaudio dell’abbandono in Dio. E poi vi ispirino un desiderio profondo di vivere poveri: che poi è l’unico modo per morire ricchi.
Buon Natale! Sul nostro vecchio mondo che muore, nasca la Speranza”.
Perché festeggiamo il 25 Dicembre? Le sue origini sono antichissime e risalgono ai primi secoli della cristianità, allorché le originarie comunità cristiane iniziarono a fare memoria della nascita di Cristo oltre che della sua morte e risurrezione. Un calendario romano del 354 ci testimonia che a Roma, verso il 330, vennero introdotti i festeggiamenti del Natale il 25 dicembre, data scelta perché vi si celebrava già il Sol Invictus, il “sole mai vinto”, che proprio nei giorni successivi al solstizio d’inverno ricomincia a salire nell’orizzonte. Da Roma il rito si diffuse in Africa settentrionale e alla fine del V secolo il Natale segnava già l’avvio dell’anno liturgico: l’imperatore Giustiniano nel 529 lo proclamò giorno festivo, e da allora la festa si è propagata in tutta Europa, accompagnandone l’evangelizzazione. Per noi cristiani questo sole trionfatore sulla tenebre della notte è Gesù Cristo, nato dalla Vergine Maria.
Il teologo servita Ermes Ronchi scrive: “Natale non è una festa sentimentale. Natale è senza bugie. Che inganno, che imbroglio ci può essere in un bambino che si mette nelle tue mani, e puoi fare di lui quello che vuoi, che inganno ci può essere in uno che muore d’amore per te? A Natale non celebriamo un ricordo, il compleanno di Gesù, ma un progetto: l’inizio di un altro modo di abitare la terra: essa non appartiene a chi è più forte e accumula più denaro”.
D’altro canto, il grande monaco camaldolese Benedetto Calati affermava: “Dio è un bacio. Caduto sulla terra a Natale”. Natale allora non è un atto di fede dell’uomo in Dio, ma è esattamente il contrario: è il più grande segno di fiducia di Dio nell’umanità. Come scrive Padre David Maria Turoldo, “Dio si è fatto uomo per imparare a piangere. Per navigare con noi in questo fiume di lacrime, fino a che la sua e nostra vita siano un fiume solo”.