Il copyright italiano e i sessant’anni della moda made in Italy
La mostra “Copyright Italia. Brevetti, marchi, prodotti 1948-1970”, ospitata dal 25 marzo al 3 luglio 2011 presso l’Archivio Centrale dello Stato a Roma, ripercorre gli anni della ricostruzione conseguente al secondo conflitto mondiale e dello sviluppo economico e scientifico dell’Italia, illustrando i presupposti del cosiddetto “miracolo economico”, attraverso storie di persone e di imprese. Il cuore dell’esposizione è costituito da oggetti-madre, raccontati secondo la metafora del teatro anatomico. I prodotti, i marchi e i brevetti, simbolo della capacità innovativa e del copyright italiano, creano legami tematici dando vita ad un percorso multimediale, alimentato da racconti molteplici, in cui è messo in risalto il contributo fondamentale del settore tessile e della moda.
La mostra evidenzia le scoperte che hanno rivoluzionato tra il 1948 e il 1970 la nostra identità nazionale, i consumi, gli stili di vita, dedicando alla moda una sezione ricca e articolata, caratterizzata da contributi fotografici e video, campagne pubblicitarie, abiti e accessori straordinari e innovativi. Il percorso spiega, come già negli anni fra le due guerre, alcune imprese italiane incrementassero le esportazioni, espandendosi al di fuori dei confini nazionali; marchi come Borsalino e Zegna si diffondevano in Europa, calzature e tessuti italiani erano presenti nei mercati di oltreoceano. L’esposizione non manca di sottolineare il legame tra due compleanni importantissimi, nell’anno in cui l’Italia compie 150 anni, si celebra anche il 60° anniversario della moda made in Italy. L’evento organizzato in occasione delle celebrazioni per i 150 anni dell’Unità d’Italia accoglie infatti, il racconto organico delle griffe e delle capitali fashion della penisola, che hanno contribuito in modo determinante, all’affermazione all’estero del nostro stile.
Nel 1951 il marchese Giovanni Battista Giorgini invitava a Firenze i buyers dei più importanti grandi magazzini americani, per assistere ad una sfilata che riuniva l’eccellenza della produzione sartoriale del Bel Paese. In passerella sfilavano le calzature di Salvatore Ferragamo, gli abiti di Roberto Capucci e le creazioni delle Sorelle Fontana che assieme a Fernanda Gattinoni, vestivano le grandi attrici hollywoodiane e di Cinecittà. Il dialogo con il cinema ha rappresentato una leva strategica fondamentale, perché la moda italiana divenisse competitiva a livello internazionale, insidiando il primato dell’haute couture francese.
In una video intervista Micol Fontana racconta la nascita dell’abito da sposa, confezionato per le nozze di Linda Christian e Tyrone Power, la visita a sorpresa di Jaclyn Kennedy nell’atelier romano delle tre sorelle della moda, il rapporto con Coco Chanel e l’ideazione di abiti “tutto fare”, adatti per diversi momenti della giornata e pensati per esaudire le richieste delle donne americane. Il percorso della mostra accoglie il famoso “pretino” dalla Collezione “linea talare”, creato per l’autunno-inverno 1955-1956 dalla maison Fontana ed indossato da Ava Gardner. E’ esposto uno scenografico abito del 1970 di Fernanda Gattinoni in taffetà di seta con stampa cachemire, nei colori ocra, vermiglio, avorio e verde giada, caratterizzato da un’ampia gonna con strascico. Il corpetto, interamente ricamato con fili di seta, riproduce elaborati motivi floreali.
“Copyright Italia” accoglie il sandalo “invisibile” realizzato nel 1947 da Salvatore Ferragamo, con mascherina formata da un unico filo di nylon e zeppa ad effe. Nel 1951 Ferragamo brevettava un tipo di calzatura femminile a giorno, combinata con una contro-calzatura in materiali e colori differenti, denominata “kimo” ed ispirata al tabi giapponese. Il modello fu portato in passerella a Firenze il 12 febbraio del 1951, nell’ambito della sfilata organizzata dal marchese Giorgini assieme agli abiti di Emilio Schuberth. La mostra in corso a Roma, ospita un sandalo in raso nero della maison toscana, associata ad un kimo intercambiabile nella variante in lycra gialla del 1951. A partire da quegli anni l’idea della polifunzionalità diveniva una costante della griffe fiorentina, confermata nel tempo, attraverso la creazione di accessori unici.
Nel 1965 Roberto Capucci realizzava un gruppo di particolarissime creazioni, presentate per la prima volta a Parigi nell’atelier di Rue Cambon. Gli abiti producevano uno speciale effetto visivo, attraverso l’uso di un materiale semplice e inusuale, le perline in plastica fosforescente dei rosari. L’idea nacque da una processione notturna, a cui Capucci assistette casualmente. Approfittando degli scioperi dell’energia elettrica che affliggevano Parigi, il Maestro ideò un geniale coup d’effet, le luci nel salone della presentazione vennero spente improvvisamente e gli abiti uscirono in passerella al buio, suscitando grande interesse e curiosità. L’evento fu riportato dalla stampa di tutto il mondo e la rivista LIFE gli dedicò una copertina dal titolo “Why luminescence in fashion?”. Due di queste eccezionali creazioni in crêpe drap, scelte per l’unicità dell’idea creativa e per la carica innovativa, sono esposte a Roma, altri due abiti basati sulla stessa originale modalità di realizzazione, sono attualmente esposti al Philadelphia Museum of Art.
Intanto alla creatività sartoriale, si andava affiancando la produzione industriale. Nel 1951 Achille Maramotti fondava a Reggio Emilia il brand Max Mara, con l’intento di produrre abbigliamento femminile confezionato di alta qualità; un obiettivo all’avanguardia, in un paese dove la moda, era ancora esclusivamente un’attività artigianale. Gli anni ’60 segnarono un’evoluzione nelle tecniche produttive e nella qualità dei capi. Max Mara iniziava a realizzare, accanto ad ampi cappotti doppiopetto taglio maschile, piccole collezioni che comprendevano tailleur eleganti e sportivi; entravano nello staff creativo Luciano Soprani, Lison Bonfis, Graziella Fontana ed Emanuelle Khan che hanno collaborato allo sviluppo della collezione e delle nuove linee “Pop” e “My Fair”. Il percorso della mostra accoglie il tailleur “Saton” in panno di lana verde prato e verde mela, foderato in taffetà verde, della collezione Pop proposta per l’autunno/inverno 1967-68 da Max Mara. Londra si affermava come capitale mondiale della moda e il fermento creativo proveniente dal Regno Unito veniva recepito e rielaborato dal celebre marchio italiano, che alla fine degli anni ’60 lanciava la collezione “Sportmax”. Nasceva una nuova imprenditorialità, la creatività si esprimeva in prodotti che consentivano al corpo di “abitare l’abito” (secondo la definizione del designer Nanni Strada).
Negli anni ’70 il baricentro della moda italiana si spostava a Milano, radicandosi nella collaborazione fra industria e stilismo. Le prime avvisaglie di questo passaggio sono visibili negli accessori prodotti con materiali industriali da Gianfranco Ferré. Il percorso della mostra in corso a Roma, ospita una cintura in cuoio non trattato, impunturato a punto sellaio e con chiusura in metallo brunito creata nel 1970 da Ferré e una cintura doppia in cuoio naturale, con molla decorativa in metallo cromato, progettata dall’“architetto della moda” nello stesso anno.
La mostra “Copyright Italia. Brevetti, marchi, prodotti 1948-1970” è promossa dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Unità Tecnica di Missione per il 150° anniversario dell’Unità d’Italia e dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali – Direzione Generale per gli Archivi e Archivio Centrale dello Stato. Eni è partner ufficiale e sponsor della manifestazione, realizzata a partire da un progetto scientifico dell’Università “Luigi Bocconi” di Milano.